Avv. Malagnini, esperto di diritto sportivo: «L’accordo non è in sede sindacale  non può essere imposto dai club»

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«C’è un momento di oggettiva difficoltà per l’industria del calcio, i giocatori sono pronti sia a ripartire che a fare la propria parte. E ripartire credo sia nell’interesse di tutti». L’avvocato Luciano Ruggiero Malagnini è un esperto di diritto sportivo ma anche di rapporti contrattuali tra calciatori e società: è il responsabile dell’ufficio legale della Fedele Management, la società degli storici procuratori di Fabio Cannavaro, Enrico e Gaetano, e dunque ha già il polso della situazione sul fronte dei tesserati che saranno chiamati a discutere del taglio degli stipendi per fronteggiare l’emergenza Covid-19.

La Lega di A ha raggiunto un accordo sui tagli da proporre ai calciatori: 4 mesi se la stagione non ripartirà, 2 mesi se il torneo sarà portato a conclusione regolarmente. Cosa accadrà ora?
«Non si tratta di un accordo raggiunto in sede sindacale, non c’è stata una contrattazione e nulla può essere imposto ai calciatori. Non a caso il comunicato della Lega fa riferimento alle successive trattative individuali con i calciatori. Come confindustria del calcio, che genera utili e che a cascata garantisce la mutualità alla B, alla Lega Pro e ai Dilettanti, la Lega si è data un indirizzo, ma non può imporre nulla ai calciatori».

Servirà una contrattazione società per società, con accordi individuali all’interno dello stesso club. Perché? 
«Escludendo la Juve, che ha già trovato in anticipo un accordo con i suoi calciatori, è evidente che all’interno di ogni società ci sono 25-30 professionisti che non guadagnano lo stesso stipendio. I contratti sono tutti diversi, sia per livello di emolumenti, sia per il modo in cui sono strutturati: ormai tutti prevedono bonus che premiano la qualità della prestazione». 

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 Premessa: i bonus non garantiscono un vantaggio fiscale. 
«Esatto, sono tassati esattamente come la parte fissa dello stipendio. Ma con i bonus il calcio si è avvicinato alla regola generale del mercato del lavoro: più produci, più ti pago. Anche perché determinati eventi, pensiamo al numero dei gol segnati, si traducono in risultati sportivi che generano un vantaggio per il club».

Però se il campionato non riprende, un calciatore può vedere sfumare la chance di far scattare un bonus… 
«Con i bonus un calciatore rischia su se stesso, magari anche per agevolare l’intesa economica con la società, ma si ritrova a non poter centrare un obiettivo per un fatto eccezionale, non certo per colpa sua. Dunque non può vedersi al tempo stesso ridurre l’ingaggio e perdere pure la parte variabile senza poterci fare nulla. Ecco perché le trattative dovranno essere individuali: ognuno sa come è stato calibrato il suo contratto e sa a cosa può rinunciare. Parlando con un po’ di calciatori, comunque, l’idea di rinunciare a qualcosa è già maturata». 

Ci sono anche accordi che prevedono la cessione dei diritti d’immagine al club.
«Ma qui andiamo fuori dalla semplice prestazione sportiva, un eventuale contenzioso andrebbe discusso davanti al giudice ordinario. Certo, si apre un altro fronte: se non si gioca, il club ha meno possibilità di sfruttare l’immagine del calciatore». 


Se la stagione sarà conclusa regolarmente, e dunque il calciatore garantirà le sue prestazioni, anche chiudendo i tornei a luglio o agosto, come si giustifica il taglio di due mesi di stipendio?
«Dal suo punto di vista, il calciatore garantisce la prestazione e potrebbe pretendere l’intera paga. Tuttavia la società si trova a sostenere una prestazione più onerosa rispetto a dei ricavi che sono diminuiti: prenderà tutti i soldi dalle tv, però perderà gli incassi se si giocherà a porte chiuse, potrebbe dover restituire la quota partita agli abbonati. Insomma, le condizioni economiche saranno diverse, pur se meno gravi rispetto a uno stop definitivo del torneo. Tuttavia…». 

Tuttavia? 
«La società, per proporre il taglio dello stipendio, dovrebbe dimostrare ai calciatori quello che realmente andrà a perdere a fronte dell’emergenza coronavirus. Tenendo anche conto di eventuali aiuti da parte della Fifa che, come sembra, dovrebbero arrivare con una sorta di “salvacalcio”».

La Juve che ha giocato d’anticipo si è assicurata l’equilibrio dei conti per il fair play finanziario. E i giocatori hanno limitato il taglio, nella peggiore delle ipotesi, a un mese e mezzo di stipendio.
«Certo, ma in linea teorica trovare subito un accordo evita anche alcune situazioni estreme. Siamo nell’impossibilità di fornire la prestazione corrispettiva: anche se da parte del calciatore ci fosse la volontà di essere a disposizione del club, non ci si può allenare né giocare. La società potrebbe chiedere la risoluzione del contratto, ma potrebbe chiederla anche il calciatore. Ricordiamo che ci sono dei termini per pagare gli stipendi: un termine vale per i controlli da parte della Covisoc, si ragiona in trimestri, ma c’è un termine più stretto, di venti giorni, scaduto il quale un tesserato può mettere in mora la società e liberarsi gratis».

E infatti lo scontro con l’Aic è stato sulla sospensione del pagamento degli stipendi, con relativa sospensione del diritto di mettere in mora il club che non paga.
«Oggi, in base all’accordo collettivo, la sospensione degli stipendi è ammessa solo in pochi casi: la condanna del tesserato per illecito sportivo o per doping, oppure una condanna da parte della giustizia sportiva che implichi gli arresti domiciliari o la detenzione in carcere. Ad ogni modo, l’accordo raggiunto dai club della Serie A è un segnale ai calciatori». 
 
Torniamo alla questione degli obiettivi individuali: non determinano solo gli stipendi dei calciatori, ma possono far scattare l’obbligo di riscatto o far maturare un bonus che fa salire il prezzo d’acquisto.  «Se ne parla poco, ma è un problema reale. Di solito l’obbligo di riscatto viene legato a obiettivi facilmente raggiungibili: in questo modo chi vende porta a bilancio un altro anno di ammortamento, chi compra paga più tardi. Però se questo obbligo non scattasse per via dello stop ai campionati, una società si ritroverebbe con un mancato incasso e uno stipendio in più da pagare, visto che il giocatore le tornerebbe indietro. Lo stesso vale per quei bonus che possono far salire il prezzo di un cartellino. Ecco un altro buon motivo per provare a salvare la stagione». 

Per chiudere la stagione bisognerà prorogare la durata dei contratti, almeno quelli in scadenza, oltre il 30 giugno. Servirà una trattativa individuale? 
«Basterà una modifica della regola, spostando la data di chiusura della stagione. Il calciatore si adeguerà, anche perché sa bene che se non gioca perde dei soldi». Fonte: CdS

 

 

 

 

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