Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il Birillo olandese”

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In una sera di novembre incontrò Johann Cruyjff. A Rotterdam, qualificazioni europee. Era il 1976, e nell’estate di quell’anno la Cecoslovacchia si laureò campione d’Europa. Con il famoso rigore di Panenka che decise la sfida ai rigori contro la Germania Ovest. L’Olanda di Cruyjff, che al tempo si chiamava Paesi Bassi, si classificò al terzo posto. Una squadra ancóra formidabile. Ed ancóra guidata dal suo capitano leggendario. Quella sera a Rotterdam Johann si ritrovò sulle piste Andrea Orlandini detto “birillo”. Lo chiamavano così, forse per quel suo modo caracollante di correre sul prato. O forse per l’altezza non proprio Gulliverina. Ma ad un toscano come lui, dall’aria furbesca, il soprannome calzava a pennello. Numero 6 di un Napoli indimenticabile. Quello di Vinicio. Quattro anni all’ombra del Vesuvio nei quali con ” ‘O lione” sulla panchina gli azzurri parvero poter coronare il sogno. Lo scudetto. Orlandini era un mediano, di quelli veri. In un’ epoca di mediani veri. Furino, Oriali, Orlandini. Un ruolo del quale si sono perdute le tracce. Lui ne aveva le stimmate. Un po’ Romano un po’ De Napoli, per la sua indiscussa capacità di controllare il gioco e percuotere la metà campo avversaria. Arrivò dalla Fiorentina, assieme a Ciccio Esposito. Aveva esordito con i viola nell’anno precedente al titolo, e poi era andato in giro. Nel Napoli trovò il suo incastro ideale. In un centrocampo di qualità e quantità. La qualità di Esposito e Juliano, e la sua solidità. Un Napoli offensivo, nel quale Orlandini si catapultava in improvvise sortite sfruttando gli innumerevoli corridoi di passaggio disegnati dal Napoli più “Olandese” di sempre. Pochi gol, invero, con il Napoli, quattro appena, ma le sue incursioni aprivano varchi per Clerici, per Braglia, per Massa. In quel Napoli andavano in gol tutti. “Birillo” e quella squadra sfiorarono un incredibile titolo, frustrato dalla Juventus di Trapattoni nel sanguinoso pomeriggio di aprile con il gol di Altafini. L’anno dopo in una notte di Roma dai profumi estivi, vinse la coppa Italia, la seconda nella storia del Napoli. Quattro a zero al Verona. Un quattro a zero maturato in dieci minuti, tra il settantaseiesimo e l’ottantaseiesimo. Travolgente. Orlandini fu l’Arie Haan del Napoli. L’ uomo del la, assai spesso. Oscuro eppure indispensabile. Un giocatore universale. Quella sera a Rotterdam Cruyjff e l’Olanda gli fecero girare la testa. Fu un 3 a 1 senza storia, nonostante l’Italia fosse passata in vantaggio. Qualche tempo fa, al ricordo di quell’episodio, sorrideva. Chissà, forse pensava a lui, che quella sera fu olandese in mezzo agli olandesi… Olandese, come il Napoli di Vinicio. Il suo Napoli. Lo chiamò così. Con un sorriso birichino, tra le rughe antiche sul volto. Rughe piccole, zigzaganti sul viso furbo. Rughe da “birillo”.

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Stefano Iaconis

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