Nino D’Angelo, “Il poeta che non sa parlare”, ma lo fa: l’amore, la pelle e Maradona

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Stavolta il libro si intitola come l’album (e viceversa): Nino D’Angelo conferma di essere un narratore come pochi in Il poeta che non sa parlare (Baldini+Castoldi). Pagine pervase di un’ironia agrodolce, di un orgoglio di classe e di appartenenza, di una rabbia stemperata da successo ed esperienza.
Ma c’è ancora bisogno di sdoganarti, Nino? Non bastano ancora Goffredo Fofi e Miles Davis, Pino Daniele e Roberta Torre, Pupi Avati ed Abel Ferrara…? «Non lo so, ma mi sento davvero il poeta che non sa parlare. Poeta non nel senso di Montale o Dylan, ma perché i versi delle mie canzoni sono il modo che ho di esprimermi. Che non sa parlare perché quando non canto non sono certo un modello di italiano: mi piacerebbe tornare indietro per studiare, sono orgoglioso degli studi, e delle carriere, dei miei figli. Non c’è più bisogno di sdoganarmi e poi oggi il napoletano è di moda. Ma ho paura, appunto, che sia una moda. E, stavolta, ho fatto un disco che vorrei fosse ascoltato, anche se dovrò aspettare ancora per farlo sentire dal vivo. Il tour partirà il 3 marzo 2022 dal teatro Massimo di Pescara, sarò a Napoli, Palapartenope, il 9 aprile, recupero del concerto previsto per il 26 dicembre prossimo venturo, sperando a quel punto di aver sconfitto il mostro».
Il Covid ha svegliato in te vecchie paure, fobie, depressioni. «Mi ha schiantato, mi ha messo a letto. Poi, quando credevo di avere la forza per rialzarmi, si è portato via mio cognato. Per me la famiglia è tutto, mia moglie è distrutta ed io con lei».
Proprio ad Annamaria dedichi uno dei pezzi più toccanti del disco: «Io vivo si respire tu» canti in «Sultanto si perdesse a te». «Stiamo insieme da ragazzini, tutto è cominciato con una fuitina, anzi prima e ora, che la vedo spersa per il dolore, per il lutto capisco cos’è l’amore alla mia età. Non ho paura che possa tradirmi, ma di non averla sempre al mio fianco».
«Ammore è da’» è l’unico pezzo non inedito del disco. «Viene da Tra terra e stelle, del 2012, lo divido con voci veraci come quelle di Mavi Gagliardi, Livio Cori, Fabiana Martone, Rosario Miraggio, Emiliana Cantone, Andrea Sannino, Milly Ascolese e Gianluca Capozzi. Ed è quello che rimane del progetto a cui stavo lavorando prima che… arrivasse Jorit».
Ovvero? «Non volevo fare un disco di canzoni nuove, ma rimettere mano a qualche mio successo, a qualche pezzo che meritava una nuova vita. Poi è arrivato il murale di Jorit con il mio volto a San Pietro a Patierno, mi sono trovato nel quartiere dove sono nato col groppo in gola, le lacrime sul viso e una domanda martellante: Che cosa ho fatto io per meritare questo?. E, ancora: Avrò dato indietro tutto l’amore ricevuto?».
«Pane e canzone» apre il disco rispondendo a queste domande. «No, aggiunge domande a domande. Il disco si apre con Toni Servillo che legge dei miei versi in italiani. Quando glieli ho proposti pensavo fosse una proposta irricevibile. Li ha letti e mi ha detto: Ci sono, con la semplicità dei grandi, con l’umiltà dei grandi».
«Dove finisce ogni città inizia una vita gia scritta», recita Toni. «Io song e ccà, so e ccà», canta Nino, qua «addo’ nun cagne maie niente/ ma si riesce a parla’ a chi sta male/ truove tanta cuscienza./ Io ccà aggio visto lacreme e parti’/ ncopp’ e valige d’ a gente/ ca ogni Natale turnave a veni’/ pe se piglià l’abbraccio e sempe/ e pe se raccunta’/ juorne luntane, prumesse d’ammore/ nu core spezzato, na sposa criatura,/ o viecchio alluccava guverno mariuolo/ e io che criscevo cu’ pane e canzone».
«È la mia vita, un ritorno a casa, da dove non sono mai partito. E il mio modo per dire grazie a Jorit, che ha rimesso il mio volto dove doveva stare».
«Chille è comme me» è la tua risposta a «’O scarrafone», parla di quel razzismo che dilaga persino sui campi di calcio. «Non mischiamo la lana con la seta e lasciamo Pino Daniele nel suo empireo. Io lo dico chiatto chiatto, semplice semplice, ispirato da un africano di Casoria che parlava in dialetto: Chill’ è comm’a te/ tene l’uocchie, tene a vocca e e mmane/ Chill’è comm’a te/ tene o core napulitano. E Rocco Hunt, ragazzo dal talento e la volontà superiori, ribadisce: L’unica razza che conosco è quella umana».
Visto che siamo agli ospiti c’è anche James Senese. «Suona il sax in Vivere è muri’, inconfondibile».
Chiudi il disco con «Campio’»: «Ricorde se scetano, bandiere che cantano, feneste che chiagnene, e tutt’ attuorno sape e te».  «È la mia dedica a Maradona, il mio grazie per essere nato al suo tempo, per averlo visto giocare, per averlo conosciuto, per aver cantato per lui. Una volta, nei suoi ultimi giorni, il figlio Dieguito mi fece registrare Carmela con una dedica per lui e gliela girò. Il campione mi chiamò per dirmi grazie, per dirmi che portava il brano di Sergio Bruni e la mia voce nel cuore. Lui che diceva grazie a me, pensate un po’».
I suoni world pop del disco, arrangiato da Nuccio Tortora, e le parole del libro ti aprono anche le porte dell’università: il prossimo 13 ottobre il Suor Orsola Benincasa ti dedica una giornata. «Oddio, parleranno di Pedagogia e linguaggio musicale nella società complessa, sai come sarebbe felice la mia maestra delle elementari. Niente cattedra però, basta un banchetto per il poeta che non sa parlare. Ormai non inseguo il successo, ma le cose che non so, che posso imparare».

Factory della Comunicazione

A cura di Federico Vacalebre (Il Mattino)

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