Il presidente Gravina:  «Giovani e impianti, i due asset del futuro» 

 «Siamo al lavoro per rendere il calcio più attrattivo  Ci sarà una filiera, apriremo le Accademie federali»

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 Una visione per il futuro. La offre il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, al quale abbiamo chiesto come si risolve la crisi dei vivai e in che modo i giovani possono superare le difficoltà generazionali che stanno vivendo. Dall’abbandono precoce al miglioramento della tecnica individuale, passando per i figli d’arte, fino ad arrivare alla gioventù vincente della Nazionale di Mancini e all’obiettivo di aprire delle Accademie Federali dove attivare un percorso formativo completo: questo il “piano Gravina” per uscire dall’emergenza.

Presidente, all’Europeo Under 21 i giovani italiani si sono presentati con il minor minutaggio nei top campionati rispetto ai loro avversari. Come va letto questo fenomeno? 
«Siamo migliorati rispetto al recente passato, ma nel calcio italiano non si investe ancora abbastanza sui giovani, soprattutto su quelli selezionabili per le nostre Nazionali. Allo stesso tempo, è importante sottolineare, invece, come la Nazionale di Mancini rappresenti un punto di riferimento strategico in questo lungo processo di ringiovanimento del nostro movimento».

Quali sono le difficoltà principali che un giovane incontra oggi sul suo cammino? 
«L’abbandono precoce e la scarsa preparazione sono spesso conseguenze della stessa problematica: trasformare un talento in campione dipende da diversi fattori concomitanti. L’allenamento tecnico, atletico e mentale, inteso come formazione a 360°, è fondamentale per i calciatori moderni. Per questo stiamo cambiando il mondo del calcio giovanile in una “filiera” in cui ciascun comparto è? utile allo sviluppo del precedente e del successivo, al fine di creare le condizioni migliori per uno sviluppo armonico del calciatore».
Ancora prima della pandemia, appariva evidente una trasformazione sociale: a pallone non si gioca più per le strade o negli oratori e, in media, l’iscrizione a una scuola calcio costa 700 euro annui. In tempi di crisi economica, il calcio non rischia di essere uno sport meno popolare e sempre più esclusivo?
«Questo dato è sempre più rilevante nei grandi centri, nel resto del Paese non è così. Il nostro obiettivo è diventare sicuramente più attrattivi verso i giovani e migliorare la qualità tecnica formativa, solo così colmeremo il gap con altre realtà europee». 

Un tempo i “figli d’arte” nel calcio erano delle mosche bianche. Oggi ce ne sono sempre di più. Lei come legge questo cambiamento? 
«Generalmente la mela non cade mai lontano dall’albero, è giusto che provino a diventare calciatori, anche se è molto difficile ripercorrere le carriere dei padri. Questo vale in tutti i settori, perché i figli devono anche sopportare la pressione del continuo confronto con il proprio genitore».

Nel suo programma elettorale ha dato ampio spazio alla crescita dei settori giovanili. Quali sono le strategie federali per i prossimi anni?
«Il patrimonio giovanile rappresenta uno dei due asset principali del calcio italiano, insieme all’impiantistica. Superata questa terribile pandemia, concluderemo il processo di rinnovamento dei centri federali, ai quali sarà affidato un lavoro di perfezionamento del talento e non di reclutamento, portando l’attività di formazione direttamente nelle Società con una maggiore presenza sul territorio. A medio termine, il mio obiettivo è quello di aprire delle Accademie Federali dove attivare un percorso formativo completo. Nel frattempo ci concentreremo sulle fasce di età più basse, sulle scuole calcio. Alle migliori proporrò di diventare delle vere e proprie agenzie formative nel rispetto di rigidi parametri e protocolli, su indicazione del Settore Giovanile e Scolastico». 

 

Factory della Comunicazione

Gio.Mar. (CdS)

 

 

 

 

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