Lamboglia (SC Soccavo): «I ragazzi vogliono il contatto oppure questo sport morirà»

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Costi alti, tre mesi in cui i ragazzi, seppur seguiti da allenatori e tecnici attraverso video e telefonate, hanno dimenticato il gusto del pallone. Da qui la decisione di chiudere con un vecchio progetto e ripartire prossimamente con uno nuovo tutto da costruire. Francesco Lamboglia è un responsabile di scuola calcio a Soccavo che ha detto basta sotto i colpi della crisi dovuta al Covid-19 decidendo di chiudere la vecchia realtà. Paradossalmente le entrate diminuiscono ed i costi aumentano. La tagliola perfetta per le scuole calcio più piccole.

 

 

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Quali sono stati i maggiori problemi? «Il problema è duplice. C’è un problema logistico ed economico».

 

Vale a dire? «C’è differenza per quanto riguarda l’utilizzo delle strutture tra chi l’ha in gestione e chi ne è proprietario. Di conseguenza ci sono dei costi da sostenere per poter ripartire, costi che talvolta non è possibile più affrontare dopo tre mesi di chiusura».

E il progetto tecnico? «Solo la settimana scorsa la Figc ha emesso un protocollo quasi insostenibile dove ogni bambino deve lavorare in un quadrato di otto metri per otto senza avere mai contatti con un altro bambino. Il calcio così non ha più quella finalità sia ludica che di interazione sociale. Invece adesso il bambino deve stare da solo segregato in un quadrato. Questo è il problema».

E per quanto riguarda la responsabilità relativa al Covid? «Il problema è un po’ ambiguo. Dai decreti ministeriali ci sono le responsabilità penali in campo ai presidenti delle Asd per quanto riguarda le norme di sanificazione e anti covid. Ma non si sa se sono state recepite dal Coni e di conseguenza dalla Figc e dagli enti di promozione sportiva. Tra di noi addetti ai lavori c’è una disinformazione totale, ognuno sta facendo per conto suo».

Lamenta una grande confusione, dunque. «Alcune scuole calcio si stanno muovendo per potersi organizzare seguendo queste direttive. Altre no e stanno facendo disputare degli allenamenti. Siccome è l’obiettivo di tutti i bambini, questi spingono per giocare, qualcuno si adegua, qualcuno rischia di perderli a vantaggio di altre scuole calcio».

Apriranno in molti? «Dalla settimana scorsa molti hanno aperto. Da domani apriranno tutti. Ma molte strutture stanno facendo il giochino affermando che la scuola calcio è finita così da togliere le responsabilità in seno alla Federcalcio effettuando solo allenamenti motori e tecnici individuali per poter essere così soggetti alla normativa degli Enti di Promozione sportiva che permette di fare attività motoria con il pallone senza la figura del medico a bordo campo. Una scappatoia per fare attività».

E i campi estivi? «C’è chi si sta attrezzando con campi estivi assumendosi i rischi. Dopo 4-5 mesi di inattività li capisco pure. Hanno i conti da pagare e devono rientrare per cui pur di lavorare devono tenere i campi aperti».

Come valuta il comportamento della Federcalcio? «Fino a poche settimane fa era totalmente assente. Ora c’è un protocollo parziale ma resta sempre il distanziamento. Poi ognuno la vive in maniera personale. Mi riferisco alle spese, il rapporto con gli istruttori, con i ragazzi».

Le piccole realtà sono le più penalizzate? «Certo una cosa è la piccola realtà con costi alti e numeri più piccoli rispetto ad una grande scuola calcio che si può rifare su numeri molto grandi».

Quali sono i suoi timori? «Il timore che abbiamo tutti noi delle scuole calcio è che i ragazzi non tornino nello stesso numero. Tra sanificazioni, orari di allenamenti più brevi e non utilizzo degli spogliatoi diventa tutto più complicato».

E i ragazzi che le chiedono? «In questi mesi di lockdown ci siamo organizzati con video lezioni. All’inizio l’adesione è stata altissima. Poi, man mano, è andata sempre più scemando. Infine me ne sono rimasti pochi per categoria. I ragazzi hanno bisogno della partita, lavorano per la partita. Hanno bisogno del contatto con gli altri bambini. Se non glielo offriamo questo calcio è destinato a morire».

G. Agata (Il Mattino)

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