Ancelotti al CdS: “Se lo scudetto lo vincerà la Juve non sarà una grande novità. O sbaglio?”

Carlo Ancelotti: "Non avete ancora visto il vero Napoli"

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Quello che ancora non sapevamo su Carlo Magno Una sera a tavola per raccontare di sé, del futuro e del tempo in cui il suo calcio cambiò. In una lunga intervista al Corriere dello Sport il tecnico del Napoli Carlo Ancelotti dice la sua sui suoi inizi di carriera, sul momento della squadra e sulle prossime sfide contro Lazio e Milan. 

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Ancelotti: «Prima ingabbiavo il talento, Zidane mi convinse a ingabbiare la Juve intorno a lui A Napoli posso ruotare i giocatori come mi pare: alla lunga, paga»

Prima di salire sul taxi che li riporterà a casa, Mariann si avvicina per confidarmi che «una nostra amica un giorno disse: “Carlo è Feng Shui, annulla le energie negative e porta ordine e armonia”». Capisco anche da questo che la serata è riuscita.  

La cena curatissima, il ristorante dell’hotel Romeo aperto apposta per noi tre, lo chef Salvatore Bianco e la sua brigata in forma Champions; dal decimo piano del palazzo che un tempo fu di Achille Lauro, il Comandante, il Golfo di Napoli è di una bellezza sfacciata. «Città sorprendente e bellissima» dice Ancelotti. «La viviamo totalmente, dal nostro terrazzo godiamo di una vista pazzesca».
Qualche goccia di pioggia si schiaccia sulle vetrate, fuochi d’artificio in lontananza. Lui sfrutta l’assist, si gira verso la moglie e le fa: «Sono per te». «Abbiamo sempre scelto appartamenti in luoghi speciali» sottolinea Mariann, canadese di origini spagnole. «A Parigi avevamo la Tour Eiffel proprio di fronte, a Madrid la Puerta de Alcala».
«Curiosità personale», abbozzo. Carlo mi blocca: «Hai ancora delle curiosità? Ma se mi intervisti da quarant’anni!».

Ne ho più d’una. Vado. A differenza del passato, l’arrivo a Napoli l’hai tenuto nascosto fino all’ultimo addirittura a Sacchi e a chi ti aveva portato al Bayern, Branchini. Temevi che avrebbero tentato di dissuaderti? «Il motivo è uno solo: De Laurentiis era in piena trattativa con Sarri, non avevo alcuna intenzione di finirci in mezzo. Mi era stata chiesta la disponibilità nel caso in cui non avessero trovato l’accordo, l’avevo data. In quel periodo si erano fatti avanti ufficialmente solo la Nazionale e il Napoli. In Premier non c’era spazio e io volevo tornare ad allenare tutti i giorni. Napoli la soluzione perfetta. I contatti per me li ha tenuti un avvocato di Parma, Ziccardi. De Laurentiis l’ho incontrato per la prima volta il giorno che mi hai beccato nell’hotel di Roma quando stavo andando a firmare».

Ho letto che in passato vi eravate sentiti spesso. «No, non spesso. E comunque per altre ragioni. Da Parigi l’avevo chiamato per parlare di Lavezzi e in seguito di Cavani».

Sacchi ci rimase male quando seppe che avevi fatto tutto senza prima consultarti con lui? «Non penso, e comunque Arrigo mi telefona spesso, analisi della partita, suggerimenti, mi dà dei consigli. Io lo ascolto. Ascolto tutti. Anzi, no, ti dirò una cosa che non ho mai rivelato a nessuno: a volte faccio finta di ascoltare, in realtà sono nel mio mondo, dentro la mia cupola di vetro, immerso nei miei pensieri. Rifletto parecchio perché sono un tipo razionale, l’istinto non prevale mai nelle mie decisioni, nella mia vita ha un peso ininfluente. L’ignoranza non mi scatta mai. Il calcio mi ha insegnato a essere addirittura più paziente di quello che di natura sarei. La pazienza è una dote essenziale per chi fa il mio lavoro. Oltre all’equilibrio: non mi esalto quando vinco e non mi abbatto quando perdo».

Dei dogmi di Arrigo quando ti sei liberato? «Di lui mai, di un certo tipo di calcio, sì, perché ho capito che non esiste un solo sistema, una sola verità, e si può vincere in tanti modi. Vuoi sapere quando è successo e grazie a chi?».

Certamente. «Zidane, alla Juve. Ricorderai che a Parma non feci prendere Baggio che aveva già l’accordo con Tanzi, Baggio che è uno dei più grandi talenti del calcio italiano, perché avevo Chiesa e Crespo e insomma puntavo a un calcio che ingabbiava i giocatori e non prevedeva il trequartista, ruolo che Roberto aveva richiesto. Se fosse arrivato dopo la svolta di Zidane l’avrei tenuto eccome. Con Zidane ho fatto il processo inverso: ho ingabbiato la squadra intorno al campione, gli ho cucito addosso il vestito».

Ride di gusto. Si guarda intorno e rivolgendosi alla moglie: «In questo hotel c’eravamo già stati un paio di anni fa, ricordi? Quando volevo portare Naby Keita al Bayern e Rummenigge mi aveva detto che avrei potuto incontrarlo a Napoli».

Keita scelse il Liverpool. «A Lipsia era impressionante, una presenza costante nel gioco. A Liverpool va a corrente alternata».

Carlo, perché al Bayern non andò come avresti voluto? «Filosofie opposte. Secondo me bisognava cambiare, era giunto il momento, il punto di scontro è stata proprio la differenza di vedute. Con Rummenigge le cose andavano bene, poi è tornato Hoeness e lo scontro si è inasprito. Le accuse di nepotismo? Il figlio, il genero… Me ne frego, non mi disturbano. Sono l’allenatore col minor numero di collaboratori al mondo, a Monaco portai Giovanni, Davide, Francesco, Mino e Paul Clement; completammo il gruppo con gente loro. Tempo fa ho anche letto che avrei avuto cinque giocatori contro. Non me ne sono mai accorto».

Quest’anno siete usciti dalla Champions per una partita sbagliata, l’ultima. «Sbagliata per te! L’anno scorso in semifinale il Liverpool ne aveva fatti cinque alla Roma».

In seguito, però, ne prese quattro all’Olimpico. «Anfield è uno stadio complicato. Ti ricordo anche che Klopp ne diede tre al City di Guardiola. Tutto quello che potevamo fare l’abbiamo fatto, ho detto questo ai ragazzi a fine partita, e non dimenticare che nel finale siamo andati vicinissimi all’1-1. Ci ha fregato quel gol di Di Maria a Parigi dove avremmo meritato di vincere».

“Se usciamo siamo dei coglioni” sono parole tue. «Errore. E’ un falso storico. Quella battuta la feci alla vigilia del ritorno con la Stella Rossa. Dissi esattamente: “Se non passiamo per questa partita siamo dei coglioni”».

A Napoli abbiamo conosciuto un Ancelotti diverso da quello di Madrid: turnazioni massicce, cambiamenti di ruolo. Al Real la formazione la modificavi raramente. «La spiegazione è semplice: qui ho un gruppo di giocatori più livellato, e poi non cambio per il gusto di cambiare ma per far sentire tutti parte del progetto. Alla lunga paga. Al Real allenavo giocatori come Ronaldo, Benzema, Bale, Sergio Ramos, Alonso, Di Maria, troppa differenza tra loro e le seconde linee potenziali. Certo, avevo anche il giovane Morata. Che è un ottimo attaccante. So che torna all’Atletico».

Per forza, Sarri si è ripreso Higuain. «Tre interessi coincidenti».

Tre? «Fai un po’ i conti».

Un’impresa togliere dal campo Ronaldo e gli altri durante la partita. «Mai avuti problemi. Solo con uno…».

Chi? «Seedorf, al Milan. Clarence con me ha giocato tanto ma ogni volta che lo sostituivo sapevo che il giorno dopo si sarebbe presentato per chiedere spiegazioni. Perché mi hai tolto? Perché proprio io, ancora? Era diventato una barzelletta, al punto che dopo il cambio Tassotti mi diceva: “Domani aspettatelo in sede”».

«Campionato vivo Non avete ancora visto il vero Napoli»

Cosa rispondevi a Clarence? «Facevi schifo, eri morto, e molto spesso si finiva con una risata».

Da Reggio Emilia a oggi quanto sei cambiato? «Non sono cambiato per niente. E’ cambiata l’actitud, come si dice in italiano…».

L’atteggiamento. «E’ cambiato l’atteggiamento degli altri nei miei confronti. Ogni tanto mi manca una parola di italiano, mi parte lo spagnolo, il francese… Ho sempre cercato di instaurare un rapporto confidenziale, paritario con i giocatori, stesso piano. Quelli ti fiutano».

Nemmeno la ricchezza, i soldi, sono riusciti a cambiarti? Qui entra improvvisamente in gioco Mariann: «Carlo è cresciuto in una famiglia povera ma serena che di soldi ne aveva pochissimi, conosce la felicità a costo zero». «Al denaro non ho mai dato importanza, e poi sono un tipo generoso».

Spiegati meglio. «Devo spiegarti cos’è la generosità?»

I successi che hai ottenuto hanno verosimilmente aumentato la credibilità e l’autorevolezza. «Il calciatore se ne fotte dei tuoi successi, gli basta una settimana in cui si sente preso in giro o ti considera poco sincero e crolla l’impalcatura. Riconosce al volo la cazzata… Io penso che si vada verso un’evoluzione del calciatore che con tre sostituzioni e presto quattro deve capire che quel che conta non è la quantità ma la qualità delle presenze».

Sei un programmatore di cambi in corsa? «Scusa, qual è l’allenatore che programma i cambi durante la partita? Fammelo conoscere».

Allegri, dicono. «Sciocchezze: ogni partita ha una storia diversa, al massimo puoi pianificare le variazioni in caso di impegni ravvicinati».

Il progetto di allenare un giorno la Roma l’hai accantonato definitivamente? «Dopo Napoli smetto».

Dici sul serio? «No». E ride. «Allenerò fino al giorno in cui capirò di non divertirmi più. La mattina che mi sveglio triste perché devo andare al campo, beh, allora fine, chiuso».

Con De Laurentiis vi sentite spesso? «Due volte a settimana, di solito. Si informa, è giusto che lo faccia. Vuole sapere, domanda».

Non suggerisce la formazione. «Gli ho detto che se un giorno mi fa la formazione io gli organizzo il cast per un film. Prendo De Niro, Ryan Gosling, Di Caprio, Bradley Cooper, Chris Payne e la nostra amica Zoe Saldana».

E così lo mandi in rovina e non ti compra più Barella, Lobotka, Lozano. «Allan se ne va?» Sorride.

Se non lo sai tu. «Lobotka lo trattammo l’estate scorsa quando rischiavamo di perdere Fabian Ruiz per via della clausola. Barella è forte, Lozano mi piace da morire. Ma adesso mi tengo la mia squadra, che è un’ottima squadra».

Il girone di ritorno comincia in salita, con la Lazio e le vostre assenze. «La Lazio e le due partite col Milan. Abbiamo il dovere di tener botta per mantenere vivo il campionato. La squadra non ha ancora dato il 100 per cento. Fabian non l’ha dato, e come lui Milik, Zielinski».

E Insigne? «Lorenzo anche più del 100 ma solo fino a novembre. Poi è calato».

Dopo il girone di andata il tuo Napoli ha quattro punti meno di quello di Sarri e come nella scorsa stagione è fuori dalla Champions. «C’è un velo di cattiveria in quel “fuori dalla Champions”. Nel nostro girone c’erano due potenziali vincitrici, Psg e Liverpool, noi siamo stati in corsa fino all’ultimo. In campionato ci proveremo fino in fondo ma se vincerà la Juve non sarà una grande novità. O sbaglio? Qui a Napoli De Laurentiis ha fatto un grande lavoro. Cristiano, il nostro Cristiano (Giuntoli, nda), ha fatto i miracoli».

L’esperienza più formativa della tua carriera qual è stata? «Gli otto anni al Milan sono una cosa a parte, ma se vuoi la verità ti rispondo Madrid. Madrid perché è Madrid e perché tutti gli allenatori dovrebbero poter lavorare in una città come quella».

E con Florentino? «Florentino è un tipo particolare ma non è mai entrato nelle mie scelte. Non ho mai avuto un presidente invadente, di quelli che fanno le formazioni».

Berlusconi, solo leggenda? «Berlusconi ti criticava quando vincevi, mai quando perdevi. Io la formazione gliela comunicavo e qualche volta gli spiegavo le scelte, ma solo dopo. Ma non mi chiedi del razzismo?».

Hai già detto più volte la tua e naturalmente non sei stato capito: in particolare sulla differenza tra sospensione della partita e interruzione.

La Redazione

 

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