Bigon, c’era lui al secondo scudetto azzurro: “Spalletti e il suo Napoli hanno fatto un’impresa che sarà ricordata, come la nostra”

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Alberto Bigon, allenatore del Napoli del secondo scudetto, ha parlato a La Gazzetta dello Sport, all’indomani della matematica vittoria degli azzurri dopo 33 anni.

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Trentatré anni fa al posto di Luciano Spalletti c’era lui, Alberto Bigon da Padova, il tecnico del secondo scudetto del Napoli. Aveva 42 anni e un gruppo granitico nel quale spiccava la stella del compianto Diego Armando Maradona. Il passare del tempo non ha cancellato dalla sua mente ricordi indelebili come quelli del 29 aprile 1990, il giorno della vittoria sulla Lazio all’ultima giornata e del trionfo.

Bigon, qual è la prima immagine che le viene in mente se parliamo del vostro scudetto?
«Il tragitto da Soccavo allo stadio, il giorno dell’ultima partita: lo facemmo tra due ali di folla. C’era gente che gettava il sale e una tensione pazzesca».
Lei vinse lo scudetto negli ultimi 90 minuti, Spalletti… con 5 turni d’anticipo.
«Lui e il suo Napoli hanno fatto un’impresa che sarà ricordata, come è ricordata la nostra. Tra le due formazioni vedo delle analogie: per esempio lo spirito di sacrificio alla causa comune e il desiderio di sovvertire i pronostici. Tanti pensavano che noi non ce l’avremmo fatta contro quel Milan, esattamente come tanti la scorsa estate non davano fiducia a un Napoli che aveva perso Insigne, Mertens e Koulibaly. Togliere tre galli dal pollaio invece è stata la mossa vincente e ha consentito ai giovani di esprimersi al massimo. Fermo restando che la dirigenza è stata brava a rimpiazzarli con Kvaratskhelia e Kim».
Che cosa ha provato vedendo le immagini di festa a Napoli? È tornato indietro nel tempo?
«È bello che i tifosi azzurri festeggino dopo tanto tempo. Lo meritano sia loro, sia la società. Ammetto però di essere contento che il nostro record di punti in casa abbia resistito: noi le vincemmo tutte a parte un pari».
È solo un caso o forse è un segno del destino che, a pochi mesi della vittoria del Mondiale dell’Argentina, anche il Napoli abbia vinto lo scudetto? Non è che Maradona da lassù…
«Il rammarico più grande è che Diego non possa essere qui a festeggiare questo trionfo del suo Napoli e che non sia stato a Doha per la vittoria dell’Argentina. I ricordi che mi legano a Maradona li custodisco nel mio cuore e preferisco non parlarne».
Quali sono stati i simboli dello scudetto del 1990?
«Il mio Napoli aveva un fuoriclasse come Diego, ma nelle prime 5 giornate, senza i sudamericani, lo zoccolo duro degli italiani conquistò 4 vittorie e un pareggio. Tutti in quella squadra recitavano la loro parte e non finirò mai di elogiare lo spirito di sacrificio di Carnevale, la sapienza tattica di Renica nell’impostare il gioco, la corsa di De Napoli, Crippa, Fusi e Francini, ma più in generale un gruppo di ragazzi fantastici che vorrei elencare uno ad uno».
E nel Napoli attuale?
«Sarebbe facile dire Kvara oppure Osimhen, ma toglierei del merito a tutto il resto dei giocatori, a Spalletti, che ci ha messo tanto del suo, e alla dirigenza. A iniziare dal presidente De Laurentiis: da quando è arrivato lui, il club ha fatto un percorso incredibile. Vi ricordate da dove è partito?».
Il Napoli può aprire un ciclo?
«Per me sì. Avrebbe potuto fare ancora più strada in Europa già quest’anno. Magari succederà la prossima stagione».
Ha un messaggio particolare per i tifosi?
«Ne ho uno per quel tifoso che, tramite un mio caro amico, mi ha inviato una poesia toccante su di me e sul mio Napoli. Grazie, mi sono emozionato».
Ai suoi ragazzi del 1990 invece cosa vuole dire?
«Molti li sento ancora e ricordo tutti con affetto. Renica, Alemao, Careca, Mauro e Zola… che mi dà ancora del lei».
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