Quando Luciano fermò Diego. Lo racconta alla Gazzetta Nicola Peragine

L'ex compagno di squadra di mister Spalletti ora vive a Napoli

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Quel giorno di agosto del 1988 Luciano Spalletti – che indossava la maglia dello Spezia – si ritrovò contro un certo Diego Armando Maradona: si giocava la Coppa Italia ed il Napoli sfidò la formazione ligure a Livorno (con sommo rammarico dei sostenitori spezzini privati di quella grande occasione in casa propria). Il Napoli vinse 3-1 contro la squadra del suo attuale allenatore con Maradona autore della punizione che generò una delle due reti di Carnevale (l’altro gol azzurro lo siglò Francini) e di un paio di giocare sensazionali. Spalletti marcò a uomo Careca (ed in pratica gli mise la museruola visto che il brasiliano restò all’asciutto); alla sua sinistra c’era Nicola Peragine che oggi vive a Napoli e sta allestendo un bel progetto calcistico alla Sanità con l’ASD Spaccanapoli. «Non vedo l’ora di sentire Luciano e di convincerlo a venire qui a conoscere i ragazzi di questo quartiere di Napoli, lui ha una sensibilità spiccata per questo tipo di iniziative».

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Peragine, che ricordi ha di quella gara? «Restammo in partita fino a dieci minuti dalla fine, peccato che poi si svegliò Diego e che ad inizio ripresa Bianchi mise dentro Carnevale che era in stato di grazia. Però Luciano fece un partitone, contro i grandi avversari si esaltava. L’anno dopo in Coppa sfidammo anche l’Inter e lui marcò benissimo Serena facendo in modo di contrastarlo anche nel gioco aereo».

Che effetto fece a lei ed a Spalletti incrociare i tacchetti con Maradona? «Luciano ed io, ma non solo noi, restammo folgorati da Maradona già durante il riscaldamento. Lui era a centrocampo a palleggiare mentre il resto della squadra si allenava dall’altro lato; stavamo incantati a guardarlo perché faceva numeri incredibili. Poi, durante la partita, Diego fu difficile da fermare: Spalletti, Stabile ed io non gliele risparmiammo ma lui accettava le botte con il sorriso e a fine gara ci fece pure i compimenti. Ecco, credo di aver apprezzato la sua grandezza soprattutto da questo punto di vista e penso che anche Luciano custodirà gelosamente quegli apprezzamenti che Diego riservò al nostro Spezia».

 

Che tipo era lo Spalletti calciatore? «Innanzitutto uno estremamente meticoloso, arrivò a Spezia già maturo eppure ancora si metteva a fare “muro” per migliorare tecnicamente. Saltava bene di testa pur non essendo un gigante. Aveva una grossa cura dei dettagli, ci teneva molto all’aspetto fisico ed era di grande compagnia quando si usciva insieme».

E com’era allora lo Spalletti fuori dal campo? «Ci portava spesso nella sua tenuta in Toscana, ho conosciuto anche la mamma. All’epoca Luciano mi disse che avrebbe voluto intraprendere l’attività che stava svolgendo suo fratello: disegnava arredamenti, un qualcosa a metà fra l’architetto e l’artigiano. Non pensava ancora a fare l’allenatore».

Anche lei ha fatto il tecnico, similitudini con Spalletti? «Macché, Luciano è di un altro pianeta: ricordo che quando gli dissi che stavo facendo il corso a Coverciano mi rivelò che lui molte cose le aveva imparate andando a vedere gli allenamenti di colleghi di Eccellenza e Promozione. Aveva ed ha una umiltà unica».

Si intravedevano già allora le doti da condottiero del gruppo? «In realtà, quello che all’epoca colpiva era il suo desiderio di migliorarsi ogni giorno in modo costante e penso che oggi chieda questo ai suoi calciatori. L’ho incontrato successivamente quando allenava nel vivaio dell’Empoli e già parlava dell’importanza della psicologia, oltre che degli aspetti tattici e tecnici».

Da quanto non lo sente? «Ora non lo vedo da un po’ ma è rimasto uno ”vero”, lo scorso anno si è precipitato a La Spezia per la morte di un comune amico ristoratore. Credo sia una persona di valori prima ancora che un tecnico di grande valore. Lo aspetto alla Sanità, mi raccomando glielo dica».

 

Fonte: Gasport

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