Gazzetta – La carriera José un predestinato, Lucio uno scalatore

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José è l’inferno di Lucio. L’esistenza di José è lo schiaffo permanente alla sua vita. José è tutto quello che Lucio avrebbe voluto essere e non è nel suo libro dei sogni e tutto quello che non potrà mai essere nella vita reale di tutti i giorni. José è nato con la camicia. È l’allenatore che viaggia da sempre in Bentley, nel lusso, è il Seduttore che può chiedere tutto perché tutto gli sarà concesso, è l’Incantatore che fa giocare un calcio povero alle sue squadre, alla “sua” Roma (sua di Mourinho ma anche di Spalletti), avendo comunque la folla adorante ai suoi piedi, quando un altro, al posto suo, sarebbe linciato e lapidato in pubblica piazza. José lascia Setubal per andare in carrozze di prima classe a Lisbona, Porto o Barcellona. Lucio lascia Certaldo per andare in autostop a Empoli, dove a malapena si accorgono della sua esistenza. Lucio è l’esatto contrario di José. Che cresce da star predestinata nella bambagia. Lucio è nato nudo (“ignudo” direbbe lui), come il bambinello nella stalla tra buoi e asinelli con le zecche e l’alitosi. Quella sua di allenatore è storia di un’immane fatica, fisica e mentale, di cose conquistate palmo a palmo con la baionetta, nella trincea della vita, a prezzo un’applicazione feroce. Di rare sconfitte molto declamate e delle tante vittorie mai riconosciute fino in fondo. Nessuno regala niente a Spalletti. I due hanno ben poco in comune. Una figlia di nome Matilde, entrambe deliziose, una determinazione che sfiora il maniacale e un magnetismo non comune. Più mentale il portoghese, più animale l’italiano. Per il resto, più diversi non si può. Lucio ama i suoi giocatori. Li ama a prescindere, solo per il fatto che sono suoi, che giocano e si battono per la causa comune. José ama i giocatori che lo amano. Quelli che fanno di Mourinho la loro causa. Lucio trasmette la sua passione ai giocatori. È la sua forza. Glielo fa capire in tutti i modi quanto ci tiene alla loro felicità. È unico nel farli sentire importanti. Il caso più eclatante al Napoli? Lobotka. Era uno scarto con Gattuso, un puffo irrilevante, è il pilastro dell’impresa di Spalletti. Più di chiunque altro. Il suo reincarnato Pizarro. Ha dato struttura e convinzione all’amletico Meret e risvegliato la belva che sonnecchiava in Di Lorenzo. Ndombele era una decalcomania nel Tottenham di Conte, con lui è tornato calciatore. Lo stesso vale per Jesus, un fantasma a Roma. Anguissa si getterebbe nel fuoco per lui. Lucio ha inventato Amantino Mancini e reinventato Perrotta a Roma, bersaglio di pernacchie, recuperato Dzeko quando i più ne parlavano coma di una probabile patacca. Chiedete a Iaquinta e allo stesso Pizarro a Udine, altro botolo fin lì superfluo, chiedete di Kerzakhov e Shirokov a San Pietroburgo. Cancelo all’Inter non lo faceva giocare più nessuno, per non parlare dei due croati, Brozovic e Perisic. I tifosi li volevano sloggiare dalla Pinetina, Spalletti reinventa il primo mediano e rimette in piedi il secondo. Fonte: Gazzetta

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