F. Cannavaro: «Contenti per aver vinto l’Europeo? Ma questa è una cultura da piccoli»

«CHE TRISTEZZA SENZA L'ITALIA»

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Germania, anno di grazia 2006. Cannavaro è capitano e simbolo, anima e cuore dell’ultima Italia campione del mondo. C’erano le sue mani, contro il cielo di Berlino, quando la coppa d’oro brillò. «È un Mondiale amaro, triste, senza la nostra Nazionale, penso alle generazioni di bambini che hanno perso il rito di ritrovarsi a casa per vedere la partita dell’Italia. Il mio ricordo da piccolo è Zoff che alza la Coppa del mondo a Madrid, dopo la vittoria in finale con la Germania Ovest».

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Cannavaro, lei ha allenato a Dubai: cosa significa fare calcio in quei Paesi?
«Questo è un evento unico per loro. Il Qatar è il più piccolo dei paesi del Golfo ma da anni le sua politica sportiva ha puntato sugli investimenti stratosferici per gli impianti. Non solo quelli per il calcio. C’è un realtà futuristica, l’Aspire Academy, dove ci sono decine e decine di campi di calcio. È un centro da far invidia a qualsiasi club d’Europa. E in ogni cosa che fanno, loro sono precisi, puntuali. Sono sicuro che sotto l’aspetto organizzativo sarà un Mondiale strepitoso e indimenticabile».
Giusto che i calciatori prendano posizione contro le accuse di diritti umani violati al Qatar?
«Perché devono farlo loro? Dal 2010 si sa del Mondiale che si gioca lì, ce ne sono stati di momenti in cui i governi o le federazioni avrebbero potuto fare marcia indietro. Nessuno lo ha fatto ed è un compito della politica farlo non dei calciatori. E poi, mica solo il Mondiale di calcio hanno organizzato a Doha negli ultimi anni. I calciatori che stanno lì devono pensare a giocare, a divertire la gente, a fare il loro dovere per lo show. Certo, nessuno di noi è indifferente alle violazioni dei diritti, ma forse ora è tardi per chiedere a chi va in campo, e che deve pensare solo a cosa fare con un pallone tra i piedi, di protestare e pretendere chissà quali gesti. Era un compito che spettava e spetta ad altri».
All’ultimo momento, tra le restrizioni, è spuntato anche il divieto di bere birra.
«Ma perché sorprendersi? Quando è stato scelto il Qatar, è stato scelto un Paese che ha delle regole. L’alcol è vietato. Chi va lì si abitui e rispetti questi divieti. Un tifoso non vola fino a Doha per bere una birra, può farne anche a meno per qualche giorno, non è la fine del mondo. Bisogna rispettare le tradizioni del paese che ospita un evento sportivo».
Messi, Neymar, Mbappé, su chi scommette?
«Messi è all’ultima chiamata. O adesso o non vincerà mai un Mondiale. È lo stesso destino di Cristiano Ronaldo: è la sua ultima chance. E solo vincendo la Coppa del mondo capiranno che tutti gli altri trofei vinti fino ad adesso sono poca roba. Compresi Champions e Palloni d’oro».
Marocco, Camerun, Senegal: può essere il loro Mondiale?
«Non adesso, ma ci siamo vicini, l’Africa è pronta. Brasile, Argentina e Francia sono ancora avanti. Ma il momento del calcio africano, ma anche di quello asiatico, per salire in vetta al mondo non è così distante.
Cosa significa un Mondiale in inverno?
«Non mi fa impazzire, questa interruzione va contro le nostre tradizioni. Certo, a Doha adesso si sta bene, meglio che in Europa come clima, ma per un calciatore il Mondiale è alla fine della stagione quando ci arrivi a pezzi, senza benzina per la lunga stagione, con la paura di poterti far male in qualsiasi momento».
Magari non aiuta la gara di esordio di questa sera, Qatar contro Ecuador.
«Certo, non è uno spettacolo di tradizioni. Io ai capi della Fifa l’ho detto: siamo al limite, non allargate più il numero della partecipanti a una fase finale. Questo è un momento di nicchia, non può essere un momento alla portata di tutti. Il Qatar è da anni che pensa a questo evento: nel calcio, come in tutti gli sport, ha adottato una politica dei passaporti e della cittadinanza che ha favorito l’integrazione dei giovani atleti più bravi».
Intanto, non c’è l’Italia per la seconda volta consecutiva.
«Ci sono generazioni di bambini che non sanno cosa è un Mondiale. In tanti, magari, dopo la scuola, in questi giorni, si sarebbero dati appuntamento con la maglia azzurra e le bandiere per fare il tifo. Per un calciatore, poi, è una cosa unica, non c’è nulla di paragonabile: rappresenti il tuo paese, se vinci sei campione del mondo. Campione del mondo. Solo a dirlo mi vengono i brividi per quello che siamo riusciti a fare nel 2006. Chi inizia a giocare nelle scuole calcio pensa al Mondiali, ad alzare quel trofeo che è il più piccolo di tutti, ma è il più pesante del pianeta».
Però, in molti dicono che abbiamo vinto l’Europeo e dobbiamo essere contenti.
«Per carità, è una cultura da piccoli, di chi si deve leccare le ferite e che finge che non c’è un problema. Nessuno sminuisce la portata di quel successo, ma essere spettatori a Doha è disastro, una tristezza».
Poteva esserci lei come ct della Polonia?
«Potevo andare, è vero. Ma c’erano situazioni strane: la guerra, la partita saltata. C’è Glik, che gioca Benevento, lì: io spero di rivederlo il più tardi possibile, contro i miei interessi. Vuol dire che ha fatto tanta strada».
Il ct che le piace di più?
«Luis Enrique. Ha fatto delle convocazioni in base a quello che piace a lui, in base a come vede lui il calcio. Punta sulle nuove tecnologie, dialoga con i tifosi».
Fabio, i ricordi di bambino legati al Mondiale?
«Zoff che alza la Coppa a Madrid è un ricordo legato alla mia famiglia riunita attorno a un televisore a far festa poi per la Loggetta. E poi Maradona al San Paolo, nella semifinale con l’Italia nel 90 in cui io, pur di vedere la partita dal vivo, feci il raccattapalle».
E lei per chi faceva il tifo quella sera?
«Ovviamente, tifavo per l’Italia».
Cannavaro, le sue favorite?
«Brasile, Argentina, Francia e Portogallo. L’ultima volta che una non europea ha vinto il Mondiale è stato nel 2002, in Giappone, con il Brasile. E credo che questo sia di nuovo il momento per una sudamericana».
Da quale difensore si aspetta il boom?
«Kim, sono anni che lo vedo. Era in Cina. L’Udinese mi chiamò per chiedermi notizie e io dissi che se si toglieva delle amnesia diventava uno dei più forti al mondo. Le amnesie di cui parlavo le ho riviste per qualche istante contro l’Udinese. Ecco: mi aspetto la sua consacrazione a Doha. Come sono curioso di vedere in azione van Dijk con l’Olanda: un conto è il club, un conto è la nazionale».
Al posto di Mancini come si sentirebbe a giocare con l’Austria nel giorno della gara inaugurale del Mondiale?
«Il brutto del calcio, delle combinazioni crudeli. Invece di stare in ritiro lì, sei costretto a preparare un’amichevole inutile, che non serve a nulla. Diciamolo, non sarei felicissimo».
L’Italia del futuro punta sul blocco Napoli?
«E fa bene. Di Lorenzo ha avuto una crescita pazzesca, Raspadori non è solo giovane ma ha fatto anche tanta esperienza ed è un attaccante che sa trascinare».
Nel 2023, finito il Mondiale, il Napoli vince lo scudetto e il suo Benevento va ai playoff per la promozione in serie A: ci sta?
«Intanto il mio Benevento va domenica prossima in casa della Reggina del mio amico Pippo Inzaghi nella speranza di recuperare in questi giorni qualche altro calciatore. E il Napoli, che tutti hanno snobbato, deve prepararsi a subire attacchi anche psicologici di ogni tipo da parte di chi non si arrende all’idea di aver già perso lo scudetto. Ma avendo dalla sua Spalletti: l’unico che sa come si gestisce una pausa così lunga in inverno, avendolo già fatto ai tempi dello Zenit».

Fonte: Il Mattino

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