Addio, Insigne: lasciarsi fa sempre male, così un po’ di più

Un'analisi a mente fredda di come ho vissuto il saluto a Insigne

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Commozione. Questa parola riassume perfettamente l’emozione vissuta, chi più chi meno, dai tifosi presenti allo stadio per salutare Lorenzo Insigne un’ultima volta nella sua casa calcistica. Certo, se gli altoparlanti dello stadio funzionassero come si vede in tutti i settori, avrei capito ogni parola della lettera che ha letto il capitano del Napoli in live, invece l’ho dovuta leggere su internet perché avevo capito solo “Forza Napoli sempre“. Tuttavia, il generale silenzio era sintomo del momento importante e a suo modo storico che stava vivendo il calcio napoletano: Insigne ha avuto l’addio di una bandiera, anche se, mi spiace dirlo, non lo è diventato, non del tutto e non nel modo che intendiamo calcisticamente. Non mi fa piacere che vada via, in fondo l’ho sempre visto correre come un dannato dietro gli avversari per recuperare la palla, a dimostrazione di quanto ci tenesse alla maglia. Però, a mente fredda e, soprattutto, a cuore freddo, mi è rimasto l’amaro in bocca di fronte alla consapevolezza che io non avrò mai il mio Totti o il mio Maldini, che io credevo davvero alla sua promessa di restare per sempre al Napoli, che fino all’ultimo ho sperato che saltasse tutto con il Toronto, anche mentre cantavo cori per lui. Non critico la sua scelta, né voglio cercare colpevoli nella società: in una trattativa ognuno tira l’acqua al suo mulino ed è giusto che guardi ai propri interessi. Semplicemente, fa male. Assistere all’addio di un calciatore che ha dato tutto per la maglia della tua squadra, che ha lottato sempre sul campo e contro una parte di tifoseria che gli buttava la croce addosso per il semplice gusto di farlo (addossandogli un paragone veramente infame con Mertens), mi ha fatto capire quanto fa male il calcio: ti culla il sogno e poi ti sveglia nel peggiore dei modi possibili. Resterà solo la gioia dei tuoi gol, dei tuoi assist, dei trofei (non sarà arrivato lo scudetto, ma da qui a dimenticare che comunque ha messo qualche coppa in bacheca ce ne vuole), delle giocate. Resterà solo il calcio ed è giusto che sia così; resteranno le lacrime di quei tifosi, anche le mie, represse nello stadio e affiorate solo una volta tornata a casa, consapevole che la maglia numero 24 non l’avresti più indossata tu, ma qualcun altro; che non sarebbe stata ritirata per nessun motivo al mondo e io lo sognavo. In fondo la Roma mette ancora a disposizione la 10 di Totti e il Milan la 3 di Maldini. Semplicemente, fa male.

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Capitano

Ciao mio capitano, nel bene e nel male (soprattutto nel secondo).

Di Simona Ianuale

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