Ciro Ferrara: “Spalletti? Nonostante la sfortuna un aspetto lo rende unico”

L'ex difensore di Napoli e Juventus presenta la sfida dell'Allianz Stadium

0

Se in ventuno anni, dal 1984 al 2005, hai attraversato 680 giornate della tua vita ondeggiando tra la magìa abbagliante di Posillipo e l’atmosfera sabauda della Torino bianconera, ci sono poi soltanto 90’ che possono rappresentarti per intero, lasciandoti vacillare tra i flutti della memoria. Quando Juventus-Napoli comincerà, domenica sera, o anche prima, Ciro Ferrara – e forse nessuno come lui – avrà il diritto di lasciarsi andare, di (ri)pensare ai primi allenamenti con Maradona, a ciò che ha scritto in quel libro d’emozioni, agli scudetti della sua Napoli rivoluzionaria, poi alla Champions e ai trofei in bianconero, a quei due mondi che gli sono appartenuti e per diritto ancora sono suoi. Come una partita ch’è uno stato d’animo, perché sotto le maglie poi batte un cuore: «E meno male, visto l’età…». Ciro Ferrara è di un ironia squisitamente elegante, ha dentro di sé i tratti d’una diplomazia regale, però non è rigorosamente convenzionale: gli piace dire ciò che pensa, dopo aver pensato a ciò che dire. Perché gli scugnizzi che vivono a Torino non sono poi cosi diversi dalla loro infanzia e sanno come destreggiarsi sinceramente.

Factory della Comunicazione

Ferrara, a inizio anno siamo quasi tutti più buoni… «Tranne il nuovo calendario, questo asimmetrico, che a me piace molto, perché è stimolante e mette in condizione di addentrarsi in una dimensione diversa».

Ne vedremo subito delle belle. «E potremo avere un quadro più preciso, certo non definitivo, del futuro. L’Inter resta la squadra da battere, lo era ad agosto e si è confermato adesso, ma alle sue spalle c’è vita. Milan, Napoli e Atalanta sono a distanza ragionevole; e poi, attenti alla Juventus».

Juventus-Napoli è il Ferrara-day: cosa farà, Ciro, la sera dell’Epifania? «Sarò allo stadio, per commentarla su Dazn e per godermela. Me l’aspetto vibrante, nonostante le troppe assenze per Spalletti, queste sì condizionanti. E stavolta è una partita strana: nessuno può permettersi di perderla e persino il pareggio rischia di essere un risultato disprezzabile, in chiave-scudetto».

Allegri e Spalletti, la Toscana a modo loro. «Di Max non c’era da fidarsi neanche quando era lontanissimo, in una situazione quasi surreale per la Juventus. E Luciano per mesi, ricordo i primi due, ha offerto uno spettacolo da restare sbalorditi».

Cosa è cambiato? «Allegri si è imbattuto in una serie di vicende che hanno appesantito il suo lavoro, chiamiamole difficoltà inaspettate. E l’immagine della Juventus vistosamente zoppicante, onestamente era insolita. Però va anche aggiunto che non si può vincere sempre, prima o poi doveva succedere che il ciclo finisse e fosse necessario cambiare. Ma Allegri è la garanzia, che riprendesse la situazione in mano era una delle poche certezze che avevamo. Quanto a Spalletti, raramente s’è vista tanta sfortuna concentrata in sequenza. Ma lui non se ne è mai lamentato, ha tirato dritto, ha evitato gli alibi. E però adesso c’è pure la variante Coppa d’Africa».

Cosa può cambiare? «Lo capiremo in fretta, perché dalla prima di ritorno saranno fuochi pirotecnici. Intanto, il campionato è vivo ad ogni livello: c’è lotta per il titolo; per la Champions, a cui aspirano anche la Lazio e la Roma; per l’Europa League e per la salvezza».

Si aspetterà qualcosa da questo 2022? «Il mutamento continuo degli scenari. Il Covid ha falcidiato alcuni club, gli incidenti ne hanno frenato altri, non siamo in grado di fare previsioni ma sappiamo che c’è equilibrio: pensavamo che l’Atalanta prima e il Milan e il Napoli poi, stessero per fare il vuoto, poi è riemersa l’Inter, che pareva fosse in grandissima difficoltà e che invece ha capovolto le gerarchie».

È stato (anche) bravo Inzaghi. «Gli va riconosciuto di essere intervenuto, personalizzando la squadra. Per me era la favorita ma so quanto fosse difficile ripartire senza Lukaku, Hakimi ed Eriksen. Ora l’Inter gli appartiene, è sua, l’ha caratterizzata. Ha quaranta giorni nei quali può scrollarsi di dosso le concorrenti più pericolose, penso a Milan e a Napoli che pagheranno a caro prezzo la Coppa d’Africa, o ritrovarsi nel mischione».

Scelga la sua squadra preferita. «L’Atalanta, senza voler far del torto a nessuno. Ha ritmo, identità spiccata, un allenatore che mi piace per quello che lascia in ogni calciatore: in ogni partita c’è una atmosfera che sa di Champions creata dal suo modo di giocare. Però il Milan e il Napoli delle prime otto giornate, sono state da applausi».

I club sono di fronte ad una rivoluzione filosofica, si può dire? «Ormai la discriminante è la qualificazione in Champions League, quei soldi sono irrinunciabili. Mi immagino le chiacchierate progettuali con gli allenatori delle fasce altissime: una volta, gli si chiedeva di vincere; adesso, è sufficiente entrare tra le prime quattro».

La sorpresa? «Non una, ma quattro: Fiorentina, Bologna, Verona ed Empoli. Per freschezza, esuberanza, intraprendenza, per tante cose messe assieme. Fiorentina e Bologna, in prospettiva, possono persino coltivare ambizioni europee».

Le sue Befane, Ferrara, a quel tempo, non erano granché… «Puntualmente, ci ritrovavamo Milan-Napoli, Diego arrivava all’ultimo momento, noi ci portavamo appresso le scorie di quei giorni e finiva male».

Stavolta pare peggio e non solo per il Napoli. «Ci sono positivi ovunque, altri ne puoi scoprire nell’immediatezza della partita. Si vive alla giornata».

E in prospettiva, Insigne va al Toronto. «È una vicenda che merita approfondimenti, affinché non ci siano equivoci. Lorenzo lo conosco da fanciullo, l’ho allenato nell’Under 21, so quanto sia serio. E so che, qualsiasi cosa accada, lui darà tutto quello che ha in questi prossimi cinque mesi. Potrà sbagliare una partita, anche due, ma rientrerà nell’ordine naturale delle cose».

Il rischio è la strumentalizzazione. «Che si possa dire: ha mollato, pensa ad altro. Ci sono messaggi inaccettabili e intollerabili, per esempio dare del traditore ad un calciatore che va via dalla propria squadra e dalla propria città. Riportiamo le questioni nella loro giusta dimensione: c’è una società che, legittimamente, fa delle scelte, guidata da un imprenditore che deve pure far tornare i conti; e poi c’è un giocatore che ne deve fare altre, ha trentuno anni, è un manager di se stesso».

Lei ci è passato per queste strettoie. « Ma era un calcio con norme e leggi differenti, figlie della legge-Bosman, appena introdotta. Il Napoli non volle rinnovare il mio contratto, lasciò che andassi in scadenza per poter accedere ad un parametro, già fissato, di nove miliardi e mezzo di lire: nel ‘94 erano soldi. E io passai alla Juve che intanto si era fatta avanti».

Insigne si ritrova ricoperto di dollari (canadesi), ma non intendiamo ridurre il discorso ad aspetti venali. «E sono d’accordo. Ci sono altre motivazioni: la scelta di vita, il desiderio di rimettersi in gioco, la possibilità di lasciare che i propri figli crescano imparando le lingue e conoscendo il Mondo. È un cambio di vita totale. E comunque, quando è finita, non c’è ragione di trovare colpevoli o di fare del moralismo spicciolo: Lorenzo ha dato e ricevuto e il Napoli anche. Poi, ci sono stati, suppongo, quei silenzi che sono stati decisivi per allontanarsi. Ma nessuno dia lezioni».

Fonte: A. Giordano CDS

 

 

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.