Sono passati più di venticinque anni ma quello sbarco a New York il professore di Oxford non lo ha dimenticato. «Venivamo da Buenos Aires e avremmo dovuto prendere il Concorde per raggiungere Londra in tre ore e mezza. All’uscita dall’aereo, Diego vide cinquanta poliziotti in attesa e disse: Vedrai, adesso mi faranno tornare indietro. Ma un ufficiale si avvicinò soltanto per chiedere a Maradona di firmare gli autografi ai suoi uomini». Esteban Cichello Hubner, adesso docente di linguistica applicata presso la storica università, aveva convinto il campione a partecipare a una conferenza organizzata dagli studenti di Oxford. «Io ero uno di quei giovani nel 1995. Prima di Diego c’erano stati, tra gli altri, Madre Teresa di Calcutta e Gorbaciov. Lui era restio, poi accettò quando gli raccontai del nostro primo incontro».
Esteban da ragazzo faceva l’inserviente nell’hotel El Conquistador di Buenos Aires, dove andava in ritiro prepartita il Boca Juniors. «E ogni volta Diego mi regalava caramelle». Era riuscito a iscriversi a Oxford e un giorno contattò Maradona. «All’inizio rispose che era molto occupato, poi gli ricordai di quei nostri incontri nell’albergo di Buenos Aires e mi disse di raggiungerlo in Argentina». Diego era appena tornato a giocare nel Boca Juniors, il viale del tramonto imboccato da tempo. «In quel periodo era anche impegnato nel sindacato calciatori e infatti ne parlò agli studenti, chiedendosi se fosse giusto che un giocatore africano guadagnasse poco e lui tanto. Eppure, aggiunse, sono bravi come me. Gli sembrava una profonda ingiustizia».
Nella sala di Oxford il 5 novembre del 95 c’erano ottocento studenti e oltre mille si trovavano fuori. Presenti anche decine di poliziotti per scortare Maradona, una striscia gialla sui capelli per ricordare i colori del Boca, la moglie Claudia e le due figlie Dalma e Gianinna al suo fianco. «Nove anni prima c’era stata la Mano de Dios, si temevano rappresaglie degli hooligans inglesi», ricorda il professore Cichello Hubner, che ha ricostruito quella conferenza nella sua autobiografia Le chiavi di Raquel. Dopo aver parlato quaranta minuti e palleggiato con una pallina da golf, Diego rispose a una domanda su Argentina-Inghilterra. «Se lo rifarei? Io farò sempre il meglio per la mia squadra, ecco le sue parole». E la droga? «Non ne parlò direttamente. Disse che lui era un esempio di cosa si deve fare e di cosa non si deve fare. E noi lo avevamo invitato appunto pe r cosa era riuscito a fare attraverso la disciplina e il sacrificio. Un bellissimo sogno realizzato partendo dal basso». Fu un giorno di profonda gioia per Maradona, che dopo la lezione all’università di Oxford ripensò alla sua scuola di vita, quella degli umilissimi genitori Diego e Tota.
Esteban da ragazzo faceva l’inserviente nell’hotel El Conquistador di Buenos Aires, dove andava in ritiro prepartita il Boca Juniors. «E ogni volta Diego mi regalava caramelle». Era riuscito a iscriversi a Oxford e un giorno contattò Maradona. «All’inizio rispose che era molto occupato, poi gli ricordai di quei nostri incontri nell’albergo di Buenos Aires e mi disse di raggiungerlo in Argentina». Diego era appena tornato a giocare nel Boca Juniors, il viale del tramonto imboccato da tempo. «In quel periodo era anche impegnato nel sindacato calciatori e infatti ne parlò agli studenti, chiedendosi se fosse giusto che un giocatore africano guadagnasse poco e lui tanto. Eppure, aggiunse, sono bravi come me. Gli sembrava una profonda ingiustizia».
Nella sala di Oxford il 5 novembre del 95 c’erano ottocento studenti e oltre mille si trovavano fuori. Presenti anche decine di poliziotti per scortare Maradona, una striscia gialla sui capelli per ricordare i colori del Boca, la moglie Claudia e le due figlie Dalma e Gianinna al suo fianco. «Nove anni prima c’era stata la Mano de Dios, si temevano rappresaglie degli hooligans inglesi», ricorda il professore Cichello Hubner, che ha ricostruito quella conferenza nella sua autobiografia Le chiavi di Raquel. Dopo aver parlato quaranta minuti e palleggiato con una pallina da golf, Diego rispose a una domanda su Argentina-Inghilterra. «Se lo rifarei? Io farò sempre il meglio per la mia squadra, ecco le sue parole». E la droga? «Non ne parlò direttamente. Disse che lui era un esempio di cosa si deve fare e di cosa non si deve fare. E noi lo avevamo invitato appunto pe r cosa era riuscito a fare attraverso la disciplina e il sacrificio. Un bellissimo sogno realizzato partendo dal basso». Fu un giorno di profonda gioia per Maradona, che dopo la lezione all’università di Oxford ripensò alla sua scuola di vita, quella degli umilissimi genitori Diego e Tota.
Già, i sogni. A Maradona gli studenti di Oxford, dopo la conferenza, consegnarono un attestato: «Al maestro ispiratore dei sognatori di Oxford». Spiega Cichello Hubner: «Anche nell’ambito universitario al talento deve essere unita l’applicazione. Era quello il senso del riconoscimento attribuito a un uomo che è stato messo sotto accusa per la droga. Il colpevole non era lui, ma noi che gli abbiamo assegnato un ruolo che non poteva essere il suo». I rapporti tra Maradona e quello studente di origini calabresi, diventato intanto docente universitario, sarebbero proseguiti. «Gli segnalai un giovanissimo calciatore delle Malvinas, l’isola per la quale l’Argentina entrò in guerra contro il Regno Unito negli anni 80. Aiutò a portare Martyn Clarke nella seconda squadra del Boca Juniors, perché era anche una questione di orgoglio per lui. Quel diciannovenne inglese che voleva giocare in Argentina e nel 1999 Diego glielo permise». Un anno dopo Maradona avrebbe rischiato di morire per overdose di cocaina a Punta del Este. È scomparso due mesi fa e l’amico professore di Oxford ricorda: «A fine carriera Diego non era riuscito a trovare un posto adeguato nel calcio, nella famiglia, nella politica. E così un giorno ha deciso lui di spegnersi».
F. De Luca, Il Mattino