Il parere dei medici sull’affluenza del pubblico negli stadi

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Se i vari parametri che il comitato tecnico-scientifico e il governo hanno previsto per valutare lo score di ogni Regione consentono il semaforo verde dal 3 giugno e se il mondo dello spettacolo può ripartire con il pubblico, come mai il calcio deve sottostare a regole più severe degli altri? Più severe dei teatri, più severe dei concerti, più severe delle industrie e dei locali aperti al pubblico? E il calcio senza spettatori che calcio è? Gli stadi aperti per un popolo calciofilo come il nostro sono vero segnale di ritorno alla normalità e, in questo momento, occasione unica per divulgare ancor più capillarmente le regole igieniche che ognuno di noi deve continuare ad applicare. A parte il lavarsi le mani, sedersi su un seggiolino senza nessuno ai lati, avanti e dietro, potrà sembrare strano ma non fermerà certo la voglia di calcio di una buona fetta della popolazione italiana.

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Eppure, sembra un ostacolo insormontabile quello della riapertura degli stadi, mentre non si fa altro che vantare contagi vicini allo zero, niente più morti e ricoveri in terapia intensiva. E, attenzione, fossimo in Cina a qualcuno verrebbe in mente di riaprire gli stadi anche a fini scientifici, sottoponendo tutti gli entranti a tampone o a test rapido. Cosa che in Italia sembra complicato anche per i primi 150 mila utili a disegnare il quadro epidemiologico.
Anche i virologi, finora preoccupati, stanno abbassando la guardia. Il milanese Fabrizio Pregliasco, che non ha mai detto no alla riapertura del campionato, ma che non aveva mai detto sì agli stadi aperti, ora sostiene:

«Da metà luglio potrebbe essere possibile aprire parzialmente gli stadi al pubblico. Ci sarebbero posti assegnati, con una sola piccola porzione di stadio occupabile. Già sarebbe un passo in avanti. Si deve agire con cautela per far circolare meno possibile il virus ma conviverci».


Maria Rita Gismondo, virologa dell’università degli studi di Milano e direttore di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle Bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, è sulla linea degli stadi aperti da quando il governo ha dato il via libera al mondo degli spettacoli. Il suo mantra resta lo stesso ormai da un mese:

«O tutto aperto o tutto chiuso». E ancora: «Le regole per la sicurezza, distanziamento e mascherine obbligatorie, valgono per uno stadio come per gli spettatori dell’Opera. Fermo restando che sono entrambe situazioni che si svolgono all’aperto e che le regole di accesso contingentato sono più facilmente applicabili in uno stadio. Ovviamente in entrambi i casi occorre rigidità massima per le regole. Non si possono concedere né indulgenze né deroghe di vario tipo».

Vale la pena ripetere con quali regole di sicurezza riaprire gli spalti ai tifosi.

«Mascherine obbligatorie ovunque, niente vendita di cibi e bevande nello stadio, termo-scanner come negli aeroporti internazionali, rigido distanziamento sociale tra gli spettatori, ossia almeno un metro e mezzo ai lati e avanti e indietro attorno a chi è seduto o in piedi, multa a chi toglie la mascherina. Così gli stadi possono esseri aperti subito, con la ripresa del campionato. Se è stato concesso il permesso agli spettacoli all’aperto, perché tanti timori per gli stadi?».

Altrimenti quando si potrà ripartire con gli stadi aperti?

«Forse tra un anno, visto che in autunno la pandemia sarà ancora un pericolo e il vaccino non sarà ancora pronto. E’ ora di cominciare a convivere con questo coronavirus attuando regole di responsabilità civile che sono poi quelle dette prima».


E la paura di tifosi incontrollabili?

«Occorre un’informazione a tappeto: se ci tenete a vedere il calcio dal vivo si possono evitare cattive abitudini. Anche i calciatori in campo dovrebbero essere simbolo di educazione sociale. Poi, pur andando contro gli istinti umani da animali sociali, in clima di pandemia dovrebbe essere chiaro che non ci si può abbracciare e toccare in caso di gol. È il momento questo di metabolizzare, andando contro la nostra natura, il distanziamento sociale. Dovremmo già mentalmente creare attorno a noi un’area invalicabile di un metro e mezzo. Se c’è l’obbligo della mascherina, con multa se la si toglie, non credo sia possibile sputare».

 

Garantendo un distanziamento sociale efficace allora in uno stadio con capienza di 40 mila posti ne dovrebbero entrare solo 8 mila, circa un quinto?

«All’incirca, comunque mantenere vuoti i posti avanti, dietro e ai lati è una giusta garanzia di sicurezza. I calcoli spettano a chi gestisce queste strutture. Dare numeri limite come si è fatto per lo spettacolo è senza senso, i numeri vanno dati in base alle capienze. All’aperto poi il virus se presente è comunque più diluito nell’aria».

 

Vietati i punti vendita di alimentari anche fuori degli stadi?

«Sì, per evitare agglomerati e persone che mangiano o bevono senza mascherina in poco spazio. Se c’è modo di far rispettare certe regole, uguali per tutti, allora si può vedere se permetterlo. Anche se vado a cena con amici, proprio perché mangiando non posso tenere la mascherina il distanziamento sociale deve essere rigido».

 

Insomma, a stadi aperti si può?

«Sì, casomai la mia domanda è: perché nel calcio non si potrebbe avere un numero contingentato di spettatori? Perché il punto al momento sembra solo questo».

Regole d’accesso agli stadi? Vietato l’ingresso a coloro che abbiano stati febbrili superiori a 37°5, a chi ha sintomi sospetti, a chi nei precedenti 14 giorni ha avuto contatti con soggetti positivi al virus di Covid-19 o che proviene da zone a rischio. In conclusione, la domanda resta quella iniziale: perché aprire cinema e teatri e non lo stadio?

A cura di Mario Pappagallo (CdS)

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