L’ex azzurro Pandev: “Il calcio per noi e per tutti i tifosi è vita. Per la gara d’addio vorrei un Marassi pieno”

Il macedone del Genoa ed ex Napoli ai microfoni del Corriere dello Sport

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Dieci anni fa era tra i protagonisti del triplete dell’Inter e viveva un mese di maggio di trionfi tra Roma (vittoria nella finale di Coppa Italia contro i giallorossi), Siena (affermazione decisiva per lo scudetto all’ultima giornata di campionato) e Madrid (successo nell’ultimo atto della Champions contro il Bayern). Adesso, in un mese di maggio totalmente diverso, Goran Pandev non pensa a trofei da alzare o ad avversari da sconfiggere. Al macedone basterebbe semplicemente… la normalità: un allenamento con il suo Genoa o una partita di campionato senza lo spettro del coronavirus. Tra due mesi compirà 37 anni e prima della pandemia aveva già disegnato il suo finale di carriera. Adesso spera di chiudere sempre con addosso la maglia rossoblù, ma giocando. L’ultimo dei titolari ancora in attività di quella indimenticabile Inter di Mourinho vuole lasciare con il sorriso. 

 

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 Pandev, quanta voglia ha di tornare ad allenarsi insieme ai compagni e a giocare una partita? 
«Tantissima perché il calcio è la nostra vita. Passavamo tutto il giorno insieme, come una famiglia, e ora non ci vediamo da quasi due mesi. E’ dura ma ci sentiamo, stiamo in contatto e non vediamo l’ora di ritrovarci tutti».

Le avrebbe fatto piacere riprendere gli allenamenti collettivi già il 4 maggio? «Molto, ma sinceramente la salute è la cosa più importante. Non è ancora il momento di pensare al calcio. Speriamo prima di tutto che la vita torni alla normalità, che il virus sparisca o per lo meno che vengano trovate le misure per superare l’emergenza e contenere l’epidemia».

Crede che sia possibile ricominciare il campionato?  «Lo spero, ma la decisione spetta alle autorità competenti che faranno la scelta migliore. Serve prima di tutto la massima sicurezza, poi se si riprenderà sarò felice perché il campo mi manca tanto». 

Che segnale sarebbe per la gente il ritorno della Serie A? «In Italia il calcio è tutto. Se ora riprendesse il campionato, la gente in tv guarderebbe quello e non solo le notizie sul virus. Da questo punto di vista il pallone può essere positivo e dare una mano».

Anche se si tratterà di un campionato a porte chiuse? «Giocare senza pubblico non è il massimo perché il bello del nostro sport è avere la gente sugli spalti, divertirsi e rendersi conto che il pubblico è felice». 

Crede che sia possibile finire la stagione? «Io ci spero, però come detto prima non decido io, ma le autorità».

Se il campionato terminerà, come sarà il finale del Genoa?  «Mi dispiacerebbe se la Serie A dovesse chiudersi qui perché nell’ultimo periodo abbiamo fatto grandi cose. Prima dello stop abbiamo dimostrato che questa squadra si può salvare tranquillamente».

Che corsa salvezza si immagina? «Uno sprint nel quale potremo dire la nostra perché abbiamo qualità. A gennaio sono arrivati giocatori di esperienza che ci hanno dato una grande mano»

 E’ preoccupato dal lungo stop? «E’ vero che sono passati mesi dall’ultima partita, ma la situazione è uguale per tutti. Noi professionisti ci alleniamo tutti i giorni per farci trovare pronti». 

Con Nicola in panchina avete vinto 3 delle ultime 4 gare giocate. «Il suo arrivo ha portato entusiasmo e fiducia nel gruppo. E’ una persona onesta e vera, che dice tutto in faccia. Prima della trasferta di Firenze ci ha parlato chiaramente e da lì è cambiato tutto. I risultati si sono visti: negli ultimi quattro incontri ne abbiamo vinti tre perché dentro avevamo la convinzione di poter fare bene». 

E lei è stato protagonista segnando 4 reti nelle ultime 8 gare giocate. «Vero, ma per me i gol non sono mai fondamentali: la squadra viene sempre prima e la cosa importante è fare punti. Mi impegno ogni giorno in allenamento per essere al meglio e aiutare i compagni. Nell’ultimo periodo stavo molto bene fisicamente, una cosa che per un atleta è importante». 
 
Come ha vissuto le settimane del lockdown? «E’ stata dura, come per tutti, ma ormai ci stiamo abituando. Sono rimasto a casa con la famiglia e, come tutti gli atleti professionisti, ho cercato di mantenere il più possibile la forma fisica, con esercizi nella mia abitazione o dove era consentito. La cosa importante è uscire il prima possibile da questa emergenza». 

Qual è la prima cosa che ha fatto dopo il 4 maggio«Intanto una passeggiata con i bambini. Poi, quando sarà possibile, non vedo l’ora di poter incontrare i miei amici, salutarli e parlare un po’ con loro». 

Cosa ha fatto per ingannare il tempo oltre ad allenarsi? «Ho riguardato le mie vecchie partite: a trentasei anni ne ho parecchie (sorride, ndr). Le giornate comunque erano tutte organizzate: insieme ai bambini abbiamo fatto tanti giochi, disegnato e guardato film». 

Come stanno vivendo i suoi genitori questa pandemia? «Loro sono in Macedonia e grazie a Dio stanno bene. Ho un po’ di preoccupazione perché hanno una certa età, ma per ora è tutto a posto».

Il calcio come può ringraziare i medici e gli infermieri che hanno fatto sacrifici per salvare tante vite? «La mia famiglia ed io per loro abbiamo sempre un pensiero. E’ stato così nei momenti più critici della pandemia ed è così anche ora, perché l’impegno di medici e infermieri non è certo finito. Secondo me non solo il calcio, ma tutto il mondo dovrebbe ringraziarli perché sono i nostri eroi. Noi possiamo solo essere riconoscenti e, quando si potrà, aspettarli allo stadio per organizzare una partita. Vorrei parlare con loro e farmi raccontare tutto quello che è successo».

Come cambierà la nostra vita dopo il coronavirus?  «Sicuramente cambierà perché è impossibile che tutto torni come prima. Spero che si riscoprano anche aspetti positivi della nostra vita. Tutti abbiamo avuto tempo per riflettere, per pensare e per stare in famiglia. Prima del virus succedevano cose brutte. Mi auguro che ora il mondo possa migliorare e che ci sia più rispetto tra le persone».

Tra dieci giorni sarà il decimo anniversario della vittoria della Champions League dell’Inter. Cosa aveva di speciale quella squadra? «Sono già passati dieci anni, ma quei ricordi mi tornano sempre in mente. Abbiamo fatto qualcosa di straordinario e non so se qualche altra formazione potrà ripeterlo. Eravamo un gruppo fortissimo e unito. Non ci mancava niente. Anche Dio ci ha aiutato e così abbiamo vinto tutto».

Il valore aggiunto era Mourinho in panchina? «Lui era una persona splendida e un allenatore che ci ha dato tanto». 


Che effetto le fa essere rimasto l’unico titolare di quella formazione ancora… in carriera? 
«Sicuramente sono felice perché giocare così tante partite in una squadra così forte non era semplice, ma ho lavorato duro per farmi trovare pronto e dare tutto in campo. Ero titolare nei match più importanti, inclusa la finale di Champions. Ho fatto tutto quello che mi ha chiesto il mister complesso l’esterno (nel 4-2-3-1, ndr), anche se sono sempre stato una prima o seconda punta».
 
Se dovesse scegliere solo una partita o una sua rete di quell’annata, quali direbbe? «Ricorderò sempre il gol nel derby che abbiamo vinto in inferiorità numerica. E poi la rete con il Bayern che ci ha permesso di qualificarci ai quarti di finale di Champions League (nel 2010-11, ndr). Ho molti bei ricordi del periodo all’Inter». 

Quanto è stato vicino a tornare a Milano lo scorso gennaio?  «C’è stato qualcosa, ma anche se l’Inter è la squadra che mi ha portato in Italia e mi ha cambiato la vita, sentivo di dover rimanere qui al Genoa. E’ quello che mi ha detto subito anche la mia società. Volevamo, vogliamo salvarci. Qui a Genova la gente mi vuole davvero bene ed è giusto che finisca la carriera nel club più antico d’Italia».

Com’è stato vedere in televisione le immagini del nuovo ponte di Genova?  «Ho provato una grande emozione. Per me, che considero l’Italia la mia seconda casa, vedere il ponte illuminato con il tricolore è stato bellissimo. I genovesi non hanno mai smesso di lottare e meritano che questo ponte porti pace e serenità, senza dimenticare mai le vittime del disastro».

Cosa ricorda di quella terribile mattina del 14 agosto 2018? «Non avevo mai visto una cosa simile. Quel ponte lo percorrevamo tutti i giorni per andare al “Signorini” ad allenarci… Non lo dimenticherò mai. Ricordo la paura dei primi momenti: nel pomeriggio avrebbe dovuto esserci l’allenamento e qualcuno di noi era già partito per raggiungere il centro sportivo di Pegli. La società, con il nostro team manager Marco Pellegri, ci contattò subito tutti grazie a una chat su WhatsApp: tutto ok, per tutti noi. Poi però arrivarono le prime immagini, le notizie di tutte quelle povere vittime. Fu un dolore immenso, che nessun genovese, come mi sento io, potrà mai dimenticare». 

 

 Qualche mese fa, prima di questa pandemia, ha detto “Prima salvo il Genoa e poi mi ritiro”. E’ ancora di questa idea?  «Ho ancora intenzione di salvarmi con il Genoa e di smettere. Avevo in testa di finire quest’anno, ma poi c’è stato il virus… Ora spero che termini il prima possibile questa situazione e poi vedremo cosa succederà. La mia famiglia e io siamo legati a Genova, siamo qui da cinque anni e ci troviamo benissimo». 

Da Eto’o, a Milito, passando per Balotelli, Cavani, Sneijder, Hamsik, Lavezzi, Higuain e Di Canio: chi è il più forte con cui ha giocato là davanti? 
«Mamma mia, sono tutti grandi campioni. Ognuno di quelli che hai citato mi ha dato qualcosa e io sono riuscito a prendere qualcosa da loro. Mi hanno aiutato tutti. Non saprei farti un nome solo».

Come se la immagina la sua gara d’addio?  «A Genova e con lo stadio pieno. Voglio salutare la gente rossoblù perché qua ho passato cinque anni bellissimi e devo solo ringraziare. Ho dato tutto per questa maglia e spero di poter salutare un Ferraris gremito».

Se dovesse descrivere finora la sua carriera che parole userebbe? «Avevo un sogno e l’ho realizzato. Da bambino volevo giocare a calcio ad alti livelli e vincere qualcosa. Sono riuscito a raggiungere tutti i miei obiettivi grazie alla mia famiglia e a Dio».

A cura di Andrea Ramazzotti (Cds)

 

 

 

 

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