Ruggero Cappuccio: “Sarri? I grandi amori finiscono quasi sempre tragicamente”

Il noto scrittore del Napoli teatro Festival parla di Sarri e del Napoli

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Ruggero Cappuccio, scrittore, regista, direttore del Napoli Teatro Festival, appassionato di calcio, tifoso del Napoli e un tempo Sarrista convinto, non fischierà. Neanche da casa: domani non sarà al San Paolo per la partita con la Juve, sarà il televisore il suo stadio, però quando Sarri rimetterà piede sul campo abbandonato il 20 maggio 2018, 616 giorni e una vita bianconera dopo, sa già che le sue mani vibreranno. «Con emozione», aggiunge. E sia chiaro: chiunque può raccogliere la sfida di farlo vacillare, di stuzzicarlo di fioretto o di sciabola, ma distoglierlo dalla sua visione estremamente realista del calcio e del tifo, e forse anche dalle residue tracce di Sarrismo, è un’impresa titanica. «Sa cosa?». Cosa? «I grandi amori finiscono quasi sempre tragicamente».

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«Una vera storia d’amore. Di somma grandezza. Ma la tragedia è quasi sistematica al di là dei Promessi Sposi: Romeo e Giulietta, ad esempio, muoiono entrambi».
Vada per la metafora amorosa: Insigne, da napoletano e tifoso azzurro, interpretando lo spirito di molti concittadini ha parlato di tradimento.

Tradimento juventino. «Sarri incarna l’essenza del romanticismo del tifo. La sua presenza in questa città ha risvegliato impulsi ed emozioni smarrite dai tempi di Vinicio e Clerici, e con il suo modo di raccontarsi e raccontare ha favorito una sorta di risveglio sensuale del tifoso napoletano. Poi, però, dobbiamo decidere se vogliamo parlare di sogno o realtà, romanticismo e realismo: ecco, il calcio è un fatto reale».

Una professione. «Certo. Oggi vengono allenate iene, mentre prima si allenavano e si formavano esseri umani. Il calcio di oggi è fatto di odio, rancori, frustrazioni, capricci e ripicche, non di elementi sentimentali. A me basta che quando un professionista gioca o allena la mia squadra dia il massimo fino alla fine: Sarri lo ha dato».

Il San Paolo come lo accoglierà, secondo lei? «Credo ottimamente. Al di là di chi si è sentito tradito».

Le proiezioni raccontano di una maggioranza di traditi. «Secondo me applaudiranno in trentamila e fischieranno in cinque o diecimila. E comunque sono manifestazioni da innamorati feriti. Contestiamo a Sarri l’assenza di sentimenti in un luogo che non è deputato ai sentimenti: come se andassimo a rimproverare a una signora goduriosa che vive a Parigi di non essere Santa Rita da Cascia. Se ha prodotto piacere, perché dobbiamo pretendere che sia santa? Quando ha detto certe cose sul Napoli e anche sulla Juve, tipo la conquista del Palazzo, credo fosse sincero. Poi la vita è metamorfosi continua, per fortuna».

Se dovesse scritturare un attore, sceglierebbe Sarri o Gattuso? «Sarri. Poi dipende: se devo rappresentare Don Chisciotte prendo lui, se cerco Sancho Panza, invece, Gattuso».

Sembra che lei scriverebbe comunque qualcosa ad hoc per Sarri. «Sono anni che tra Empoli, Napoli, Chelsea e Juve sta dicendo cose linguisticamente particolari nel mondo del calcio. Magari tra cinque anni Gattuso, persona e tecnico già molto interessante, troverà il suo habitat e farà lo stesso percorso. Magari già domenica ci dirà qualcosa: può vincere lui, può vincere il Napoli».

Ci crede? «Questo Napoli ha qualcosa d’imponderabile: è vero che la squadra è un albero di Natale che funziona a intermittenza con le luci più spente che accese, però il gruppo sarà risvegliato da questo appuntamento. E’ una grande occasione per tutti: per gli scontenti, per quelli a fine contratto, per i meno accesi».

Non è che comincia a piacerle anche Gattuso? «E’ un motivatore, un pratico. Uno di cuore che sa di giocarsi una bella chance di carriera: è la persona giusta, in questo momento. E’ un generoso: se fossimo in un film, in Sandokan per esempio, sarebbe Yanez».

E Sarri, invece, che personaggio è? «Se fosse uno scrittore direi Stendhal: l’asciuttezza del suo stile nascondeva molte cose e lui è uno che allude continuamente. All’inizio, a Napoli, era quasi zen… Direi che discende dall’albero genealogico degli Ulissi: Ulisse è un uomo di curiosità, ma anche un abile mentitore. Però ha qualcosa di profondamente umano: capisco il sentimento di delusione del tifoso napoletano, ma bisogna circoscrivere il tifo entro limiti temporali».

Tornando al Napoli: crede nella vittoria con la Juve, bene. E nella qualificazione alla prossima Champions? «No, obbiettivamente no. L’Europa League, però, è possibilissima».

Dica la verità: vorrebbe rivedere Sarri sulla panchina del Napoli? «Assolutamente sì. Mastroianni lasciò il suo precedente regista per lavorare con Fellini: che doveva fare? Non scherziamo».

Lo rivorrebbe anche senza la tuta? «Lui resta completamente diverso dagli altri allenatori: lo vedi nel modulo, nel modo di dialogare e masticare sigarette. Quel tipo di essenza non si cancella mai: chi lo immagina domato dalle buone maniere industriali di un altro tipo di società, deve capire che una tigre resta tigre anche nel giardino di una villa sulla Cassia».

 

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