Fausto Salsano segue Roberto Mancini come un’ombra

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Nella piazza di Cava de’ Tirreni era una sorta di celebrità. Perché quando Fausto Salsano si metteva le scarpette, non ce ne era per nessuno. Classe da vendere e una rapidità nelle gambe tale da fargli guadagnare il soprannome di «ragnetto» una volta diventato calciatore professionista. Sì, perché il destino del figlio di Ciccio – il guardiano dello stadio di Cava – non poteva che essere in Serie A: prima da calciatore e poi da allenatore, ovvero da primo assistente di Roberto Mancini.

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Ad accorgersi subito delle qualità di quel ragazzo dalle gambe magre e i riccioli fluenti è la Pistoiese, il trampolino di lancio dal quale spiccare il volo verso la Sampdoria. La sua grande opportunità, sia dal punto di vista calcistico (gli sfugge lo scudetto del 1991 perché in prestito alla Roma) che da quello personale, perché in quegli anni stringe un’amicizia solidissima con Mancini. Ecco perché quando il Mancio ha la chiamata da primo allenatore dell’Inter, il suo pensiero è rivolto subito a Faustino, che sceglie come suo assistente. Il sodalizio funziona e diventa indissolubile. È per questo che il Mancio lo porta con sé praticamente ovunque: al Manchester City, dove insieme riportano la Premier in casa dei Citizens dopo anni di attesa, ma anche al Galatasaray dove arriva la coppa di Turchia e la emozionante eliminazione della Juve ai gironi di Champions, di nuovo all’Inter, poi ancora allo Zenit e per finire in Nazionale.

Fonte: Il Mattino

 

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