Gabrielli (Vice Quest.): “La pirateria è un fenomeno mondiale. Noi abbiamo armi spuntate”

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La terza divisione della Polizia Postale pensa al cyberterrorismo e ai crimini finanziari consumati sulle autostrade digitali. Ci pensa e agisce. Da due anni la dirige il vicequestore aggiunto Ivano Gabrielli, La sua unità, burocraticamente detta Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche, ha chiuso centinaia di portali che ritrasmettevano illegalmente eventi e contenuti audiovisivi.

 

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Vicequestore Gabrielli, come si può combattere il fenomeno della pirateria? Dà l’idea di un inseguimento alle ombre.
«Stiamo parlando di un fenomeno che ha le dimensioni del mondo intero. E forse di più. Tra spazi reali e spazi virtuali le possibilità di espansione offerte dalla rete sono innumerevoli. E innumerevoli le opportunità di replicare il materiale e offrirlo a pagamento».
Con danni enormi per i legittimi proprietari.
«Per l’intera economia. C’è un giro d’affari annuale di centinaia di milioni, solo in Italia. Che vengono sottratti al circuito lecito».
E voi?
«Noi interveniamo, però con armi spuntate. Gli strumenti giuridici che abbiamo a disposizione non ci permettono di essere sempre efficaci. Per la mancanza della necessaria tempestività e per l’ordine di grandezza stesso del problema».
In che mondo vivono i pirati?
«Ci sono due grandi categorie. Da una parte siti che offrono prodotti di bassa qualità, tipo spezzoni di partite prese in giro per il mondo, come si capisce dalle lingue usate per le telecronache. Questi creano un danno, sì, ma l’utente si trova di fronte a quindici minuti di gara con forte ritardo, segnale debole e telecronache in arabo. Prodotti che non dovrebbero essere presenti su quei portali, ovviamente, tuttavia a creare i veri guai è l’Iptv a pagamento. In questo caso abbiamo a che fare con vere e proprie organizzazioni criminali strutturate con venditori, procacciatori, distributori, centrali di produzione. Che offrono la possibilità di accedere ai bouquet proposti dalle Tv a pagamento».
Non si può andare a scovarle?
«Lo facciamo. Ma non è semplice. Non tanto perché le strutture sono all’estero e l’intervento richiede l’apertura di canali di collaborazione con le altre polizie. Quanto perché vengono utilizzati canali dedicati e segnali cifrati. Con un provvedimento apposito un sito Internet, anche all’estero, un portale possono essere oscurati. Questo tipo di trasmissioni no».
Sono pirati più duri da affrontare.
«Li affrontiamo. Andiamo a colpire le reti di venditori e procacciatori, combattiamo giorno per giorno organizzazioni articolate contro le quali è perlomeno possibile svolgere attività di polizia. Però tutta l’infrastruttura è all’estero. Quindi per sradicare davvero l’attività bisognerebbe produrre uno sforzo che sulla base dell’attuale legislazione richiede tempi lunghi e l’interessamento di autorità straniere. In Europa riusciamo comunque a essere rapidi. Al di fuori e soprattutto in zone offshore tipo Panama colpire in maniera efficace diventa davvero complicato».
Complicato o impossibile?
«Si può arrivare a dama. Speriamo di raggiungere quanto prima risultati significativi. Ci occorre la collaborazione di forze dell’ordine e magistratura dei Paesi coinvolti. Ci stiamo lavorando. E stiamo lavorando anche a livello legislativo. Se il diritto d’autore dev’essere tutelato, è indispensabile lo sia a livello globale. Non può esserci un diritto d’autore protetto in maniera decisa in ambito europeo e un altro molto più debole in altri contesti. Esistono tavoli di lavoro al G7 e su scala internazionale che stanno affrontando il problema. Purtroppo non tutti i Paesi hanno la medesima sensibilità. Inoltre la tutela del diritto d’autore in sé oggi è un po’ leggerina. Bisognerebbe inasprire le pene e permetterci di ipotizzare l’associazione per delinquere, facilitando così l’attivazione di intercettazioni e di altri strumenti investigativi. Meno utile, secondo me, perseguire con severità i singoli utilizzatori».
Che cosa intende quando parla di organizzazioni strutturate?
«Di criminalità organizzata. Questo tipo di attività non è roba da hacker nello scantinato. Oltre alle competenze tecnologiche servono soldi per allestire centrali e produzione, reti di vendita, capacità di gestione e riciclaggio dei proventi».
Con quali mezzi affrontate tutto questo?
«Siamo una polizia specializzata che muove 1.500 operativi su tutto il territorio nazionale. Un buon numero se confrontato con quelli di altre realtà. Ovviamente dobbiamo occuparci di molte altre cose, dalla pedopornografia al terrorismo online. Ma siamo bravi ad agire su più fronti. Gli strumenti ci sono, semmai la difficoltà sta nel rimanere al passo con la tecnologia e lo sviluppo dei software».
Che cosa può fare il calcio per difendersi?
«Una valida campagna di sensibilizzazione. Far capire ai tifosi che la pirateria danneggia l’intero sistema, comprese le squadre che si sostengono. E che si mettono a rischio i posti di lavoro di chi opera nel settore. Basti pensare all’indotto che circonda le televisioni».

Fonte: Cds

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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