Sacchi: “Il calcio nasce dalla mente e Carletto di cervello ne ha da vendere!”

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Il Vate di Fusignano, al secolo Arrigo Sacchi, lasciò il Milan dopo aver conquistato uno scudetto, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, due Supercoppe europee, una Supercoppa italiana. In quegli anni, la rivalità calcistica con il Napoli, era protagonista della nostre serie A. Si ricorda cosa disse ad Ancelotti alla vigilia del suo primo Milan-Napoli in panchina?. Arrigo Sacchi sospira e risponde come un fulmine. «Ma certo! A lui e agli altri: fate una cosa semplice, non fate arrivare il pallone a Maradona. Sennò ci castiga. Difesa alta e fuorigioco a metà campo. Finì 4-1, un trionfo». 
Nel prossimo Milan-Napoli, un Maradona non ci sarà. «Ma lui era unico, dal nulla poteva inventare sempre qualcosa: quando lo affrontavamo era come avere una spada sul capo che prima o poi poteva abbattersi, all’improvviso. L’ho sempre adorato. E lui lo sapeva».

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Come arrivano le due squadre a questa sfida di sabato? «Gattuso sta lottando tra mille fatiche, infortuni, il caso di Higuain che finalmente si è risolto. È giovane, Rino, prova a far giocare la squadra con personalità. Ma è evidente che in questo momento gli azzurri sono in un momento migliore». 
Le è piaciuta la prestazione con la Lazio? «Probabilmente la migliore da quando c’è Ancelotti. Perché tutti hanno dato tutto quello che potevano dare, giocando un calcio coraggioso, aggressivo, facendo un bel pressing. E allora ho scritto un messaggio a Carlo, mi sono complimentato per il carattere e la qualità del gioco espresso dai suoi nonostante le assenze. Non è nella nostra indole pressare, imporre il gioco, il ritmo: basta vedere la Lazio che giocava con tre uomini in difesa e uno che non si sganciava mai. Siamo grandi tattici, ma piccoli strateghi. E la mancanza di una strategia è l’anticamera della sconfitta».
Non era semplice, considerando gli uomini che gli mancavano. «Il calcio nasce dalla mente. Michelangelo diceva che i quadri si dipingono con il cervello, le mani sono soltanto strumenti. La stessa cosa vale per il calcio. Carlo ne ha da vendere di cervello e i suoi giocatori ne sono lo specchio fedele. Il suo Napoli sta giocando un calcio moderno, di movimento, dove lo spazio è l’habitat naturale: un calcio aggressivo, veloce. Cosa che non è sempre riuscita al Napoli nei mesi passati».

Chi la sta impressionando? «Quanto è bravo Fabian Ruiz. Ha generosità e altruismo».
Esattamente come il suo attuale allenatore? «Carlo era allenatore in campo per la qualità che ci metteva, per la sua generosità e il suo impegno. Uno dei giocatori decisivi del mio Milan. Meno male che è tornato lui in Italia altrimenti la serie A, dopo la partenza di Sarri, si sarebbe davvero impoverita».
Che differenza c’è tra il calcio di adesso è quello in cui Milan-Napoli valeva per lo scudetto? «Il livello della serie A era un altro, però oggi il calcio italiano è più avanti, è uscito dalla sua ortodossia, il pubblico ha più cultura: i tifosi del Napoli che ringraziano la squadra nonostante il secondo posto; i tifosi della Roma che fischiano i giallorossi che passano il turno in Champions dopo un pari col Bate Borisov. Ecco, oggi chi gioca un calcio ottimistico, propositivo, coraggioso, continua ad essere sempre il mio preferito». 
Colpa anche del livello dei calciatori? «No. Colpa della idee che spesso non ci sono. Ci sono squadre che hanno un livello di calcio che altre riescono a raggiungere solo perché hanno dei campioni. Ma a fare la differenza non può essere solo difendiamoci e basta. È il pressing quello che vuole la gente. Ma il pressing va contro la nostra storia. L’ultima volta che siamo andati all’attacco con costrutto era duemila anni fa con i romani».

E chi la diverte adesso? «Tutte le squadre che vedi giocare e dici: si vede chi è l’allenatore. Quindi, la Sampdoria di Giampaolo, l’Atalanta di Gasperini, il Napoli di Ancelotti, il Sassuolo di De Zerbi e la Roma di Di Francesco. Hanno un calcio ottimistico, un calcio dove c’è al centro il fattore rischio che è alla base di ogni avventura sennò si cade nella routine, nel pessimismo e precipiti nel passato. Ma oggi in molti: vogliono vincere da prim’attori, da protagonisti». 
È dal 2012 che il Napoli finisce in classifica davanti al Milan. Le forze sono invertite? «Ma il merito è di De Laurentiis. Dopo Berlusconi non è che chi è venuto non ha speso al Milan, ma lo ha fatto senza avere una strategia. De Laurentiis no: ha visione, va apprezzato e il Napoli è esempio di buona politica e di ottima gestione imprenditoriale. Però anche il Milan sta tornando ai livelli di una volta. E i rossoneri, come Inter e Juventus hanno il vantaggio di una storia fatta di trionfi. Che dà sempre una superiorità morale». 
Curioso che i due portieri siano due baby come Meret e Donnarumma? «È curiosa non l’età ma avere così pochi giocatori italiani in campo. Forse perché costano di più: e allora si prendano allenatori bravi nei settori giovanili, che insegnino in modo moderno il calcio. Facciamo ancora le stesse cose di 50 anni fa. Ricordiamo che i ragazzi imparano più costruendo che difendendo». 
È sempre ossessionato dalla bellezza? «Ma è normale. Pensiamo agli spettatori di San Siro sabato sera: vanno alla partita, vogliono lo spettacolo, il divertimento. Ai miei giocatori dicevo sempre: La gente vi viene a vedere per passare due ore senza pensare ai propri problemi. Pure Carlo pensa a questo. Ho visto come ha affrontato la Champions: dall’alto della sua modestia, che è dote unica, sa che il pressing non è una esigenza, è una necessità perché nasconde tutti i limiti e esalta le qualità».

Il calcio italiano è vittima ancora di razzismo e cori anti-meridionali. Che ne pensa del caso Koulibaly?
«Non mi meraviglio. Ma mi indigno. La colpa è di tutti quelli che per decenni hanno detto che conta solo vincere nel calcio. Quindi per vincere abbiamo fatto patti con i diavoli. La genesi la conosco: abbiamo cercato di prendere le frange più brutte del tifo per farci aiutare a vincere con ogni mezzo, c’è stata collusione e connivenza. In Colombia, dove pure si uccidevano con crudeltà, ho assistito al derby di Calì che si giocava in uno stadio senza recinzione. Dobbiamo ripartire da zero».
La battaglia di Ancelotti è quella giusta? «Certo, fa bene. Ma siamo convinti che si voglia davvero cambiare, che si vuole davvero intervenire? Qui mi pare che tutti facciano finta di nulla, che a furia di chiudere un occhio nessuno veda più tutto il brutto che circonda il calcio. A Madrid, per non aver a che fare con gli ultrà, hanno fatto una cosa semplice: non gli hanno consentito di fare gli abbonamenti. La cosa mi ferisce da italiano».
Lei come reagirebbe? «Guardi, ero un bambino e i miei avevano un calzaturificio, arrivavano da tutto il mondo e le uniche parole che capivo quando parlavano di noi erano: mafia, spaghetti, maccheroni, corruzione e catenaccio. Ecco, io almeno ho provato a cancellare quest’ultima idea».
Sarri manca alla serie A. «Tantissimo. Ma il nostro è un Paese che valuta gli allenatori per come gestiscono, per le capacità tattiche e non per la strategia. Ma per fortuna è tornato Carlo sennò era un danno enorme».
Eppure Sarri in Inghilterra sta subendo delle critiche. «Glielo avevo detto che sarebbe andata così, anzi per me sta andando meglio di quello che pensavo. Non ha calciatori adatti a giocare un calcio di squadra. E si vede».

Fonte: Il Mattino

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