Gabbiadini: “Con Sarri non giocavo nel Napoli? Il motivo c’era. Ancelotti un grande? E’ il segreto di Pulcinella”

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Nella sua lunga intervista rilasaciata al CdS Gabbiadini senza peli sulla lingua:

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Manolo Gabbiadini, how are you? «No, fermati, gioco a Southampton, ma dall’Italia non sono dovuto scappare. Mi sento italiano, parlo italiano e mangio anche italiano».

Bene, allora ti chiederò cum véla, come va? 
«E ora tiri fuori il dialetto bolognese? Immagino già di cosa tu voglia parlare, ma abbiamo appena cominciato, dai, ci arriviamo dopo al Bologna».

E allora da cosa partiamo? 
«Da qualcosa di inglese, dalla Premier, che per tutti è il campionato più bello del mondo». 
Lo sarà anche per te…
«Per certi versi è bellissimo, entusiasmante, unico, per altri continuo a preferire quello italiano. Che di sicuro è diverso da quello inglese».
Dove è più bello quello inglese? 
«Per tutto l’insieme. Qua arrivi allo stadio e trovi i tifosi della tua squadra tutti vestiti con i colori sociali e quelli dell’altra squadra vestiti con i loro colori che mangiano insieme un panino, e parlano, si confrontano, nella peggiore delle ipotesi possono discutere a voce alta. In Inghilterra non succede mai niente, tu puoi anche perdere 3-0 e alla fine i più ti applaudono».
Insomma, è un bengodi calcistico in tutti i sensi. 
«Pensa che lo scorso anno ci siamo salvati alla penultima giornata e all’ultima abbiamo fatto il giro di campo con tutti i tifosi in piedi che ci applaudivano. In Italia come minimo ci avrebbero fischiato, aspettandosi da noi un altro campionato». 
E dove è più brutto? 
«Sono all’antica, ed essendo abituato al nostro calcio, ti dico che andiamo in campo non sempre tanto preparati».
Cosa vuoi dire? 
«Mi riferisco all’aspetto tattico, non certo a quello fisico. In Inghilterra si lavora tanto sull’intensità, c’è grande applicazione, ma al di là delle cinque o sei grandi, il concetto che viene portato avanti è quello che si va in campo per fare gol. Basta».
E’ per questo motivo che gli allenatori italiani in Premier diventano sempre protagonisti? 
«Il passo più difficile per loro è farsi seguire dai giocatori, una volta che ci sono riusciti, è fatta. Perché gli inglesi hanno un senso di appartenenza infinito, parlano solo inglese, si sentono i più forti, i migliori. Guarda quello che è successo con l’euro, guarda come il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea. Ecco, se l’allenatore italiano abbatte quel loro muro carico di diffidenza, stai tranquillo che in Inghilterra sfonda con le qualità che ha».  


Com’è successo ad Ancelotti, come è successo a Conte e a Ranieri. E come succederà anche a Sarri?
«A guardare i primi mesi ti rispondo sì, perché Sarri sta facendo benissimo. Eppure non ha avuto tanto tempo a disposizione per insegnare il suo calcio. Vediamo cosa accadrà nei prossimi mesi, la Premier è piena di trappole, ce ne sono anche dove meno te le aspetti». 
A proposito di Sarri, c’è da dire che ti faceva giocare poco a Napoli.
«Per forza, hai dimenticato che avevo davanti Gonzalo Higuain?».
Allora non sei arrabbiato con lui?
«Assolutamente no. Tre settimane fa quando il Chelsea ha giocato a Southampton, alla fine della partita mi ha aspettato fuori dallo stadio e abbiamo parlato per una quindicina di minuti».
E di cosa avete parlato?
«Di come si vive il calcio in Premier, di Napoli, del Napoli». 
Dai, non gli hai fatto capire che sei andato via proprio perché ti faceva giocare poco?
«Ma no, non penso che fosse un argomento che gli interessasse. E poi come potrei pretendere una spiegazione da uno che ha la sua esperienza e che a Napoli ha fatto un grande lavoro».
Hai visto che ora Ancelotti fa giocare tutti? Magari se tu fossi ancora a Napoli…
«Non ti seguo. Che Ancelotti sia un altro grande allenatore è il segreto di Pulcinella, ma allora per lo stesso motivo sarebbe stato bello giocare nel Real Madrid che era di Zidane o nel Barcellona di Valverde»


Invece sei a Southampton e giochi anche poco… 
«E sono felice di essere qua, perché tieni conto che è stata una scelta mia e che nessuno mi ha costretto ad accettarla».
Il fatto che Mancini abbia chiamato Giovinco può alimentare anche in te una speranza azzurra?
«Sì, quella convocazione mi ha fatto felice, perché il cittì ha fatto capire a tutti che le porte della nazionale sono aperte per chi le merita. A questo punto io devo mettermi solo nelle condizioni di meritarla, non vedo l’ora di tornarci a Coverciano».
Sai come devi fare. 
«Devo fare di più e meglio, questo è sicuro. Ti direi una bugia se affermassi che mi ritengo soddisfatto di come sta andando e di quello che sto facendo». Sarà anche colpa tua.
«Quando si arriva a vivere queste situazioni, la colpa è di tutti, ma stai tranquillo che mi prendo le mie responsabilità. Anzi, le colpe maggiori ce l’ho proprio io, perché in campo vado io e devo fare bene io, e non gli altri».
Già fare autocritica è importante.
«Mi conosci, nella mia vita non sono mai andato alla ricerca di alibi, quelle che sono le mie responsabilità non le ricaccio sugli altri».
Allora non sei nemmeno pentito di aver fatto questa scelta.
«No, mai, è un’esperienza che ho voluto vivere e che continuo a vivere con entusiasmo e passione. Poi è chiaro che vorrei viverla più da protagonista, ma questo è un altro discorso. Devo confessarti una cosa…».
Confessala pure.
«Da quando avevo 15 anni sognavo di poter giocare in Premier, figurati se non farei di nuovo questa scelta. Dammi retta, chi vive la Premier fa fatica a dire che non ti emoziona. Chiedilo a chi vuoi e tutti ti risponderanno nello stesso modo».
Sei appena rientrato da cena, non dirmi che a Southampton si mangia come a Bologna.
«Ci stai riprovando, eh?».
No, è una domanda come le altre.
«Sono uno di bocca buona. E poi io sono abituato a mangiare bolognese».
Come sei abituato?
«Dai che lo sai. Mia moglie è di Sasso Marconi e tutte le volte che veniamo in Italia riempiamo le borse di vasetti di ragù, di tagliatelle, di tortellini che sua nonna fa per noi».
Magari sua nonna è anche tifosa del Bologna.
«Forza, spara, cosa vuoi chiedermi?».
No, è solo una testimonianza che conosci: anche per il fatto che hai una moglie di Sasso Marconi e un figlio piccolo, in ogni calciomercato Gabbiadini al Bologna diventa voce di popolo.
«A Bologna sono stato un anno in prestito secco e ho fatto bene. Di sicuro per me è stata un’annata bella, che ho vissuto intensamente. C’era Diamanti, c’erano Gilardino e Kone, c’era soprattutto un grandissimo allenatore come Stefano Pioli. Sono contento che la gente mi voglia bene, forse anche perché ha capito che sono un bravo ragazzo».
Anche Pioli potrebbe allenare in Premier?
«Pioli può allenare dovunque. Te lo ripeto, è un grande allenatore e anche una grande persona. Io gli devo tanto, se a Bologna ho vissuto un’annata fantastica sia a livello di vita che di calcio, gran parte del merito è suo».
Inutile girarci tanto attorno, te lo chiedo e la facciamo finita, poi in fondo questa domanda era nei patti: un giorno più o meno lontano può succedere che Gabbiadini torni a giocare nel Bologna?
«Non voglio fantasticare e neanche guardare tanto lontano, tutti noi abbiamo un destino, non si sa mai nella vita. Se un giorno più o meno lontano, tanto per usare le tue parole, il Bologna vorrà farmi una proposta seria, ne parlerò con il mio procuratore e insieme prenderemo una decisione. E ora su questo argomento non chiedermi altro, non fosse altro per il rispetto che ho nei confronti del Southampton. Un conto è se parlo bene di Bologna, e un altro se parlo del Bologna».
Allora di Bologna potresti parlare tranquillamente per ore?
«Lo sai che appena ho un giorno libero, io, mia moglie e il piccolo veniamo a Bologna. Passeggiamo per strada, la viviamo, ce la godiamo. Vedi, io Bergamo ce l’ho addosso, non tradirò mai le mie radici, ma Bologna è fantastica e a Bologna verrò a vivere una volta che avrò smesso di giocare».
Domenica si giocherà Bologna-Atalanta.
«Guarderò il risultato, su per giù alla stessa ora noi giocheremo a Manchester contro il City».
Forse è più facile per il Bologna che per il Southampton.
«Penso anch’io, anche se l’Atalanta ora si è ritrovata. Sarebbe stato meglio per il Bologna averla incontrata un mese fa».
Cos’è stata l’Atalanta per te?
«Un pezzo di vita, la gioia del ragazzo che può fare calcio nella sua città. Poi devo dire che una volta in prima squadra hanno continuato a vedermi come il giovane cresciuto nel vivaio, ma ciò non mi fa cambiare idea su tutte le cose belle che ho vissuto».
Ti rivelo una mia impressione: anche in Premier sembra che ci siano due campionati in uno.
«E’ vero, quest’anno non c’è la Juve come in Italia che fa un campionato a parte, ma un conto sono le prime sei e un conto sono le altre. Anche a livello tattico è tutta un’altra storia». 

 

Batti sempre lì, è un nervo scoperto per te.
«Con Pioli e Sarri lavoravo una settimana intera per preparare la partita, in Inghilterra è così per il Chelsea, i due Manchester, il Liverpool, forse anche il Tottenham, per le altre squadre no. Per farti capire: mentre in Italia si gioca 11 contro 11, in Inghilterra si gioca 1 contro 1».
In che senso?
«Nel senso che lo schema è punto l’uomo, lo salto e vado in porta».
Figurati se questi concetti possono appartenere a Sarri, Guardiola, Mourinho o Klopp.
«Te l’ho detto, le squadre che giocano per vincere la Premier, vivono e fanno un altro calcio».
Per te chi farà festa alla fine?
«Uno tra Sarri, Guardiola e Klopp».
Ultima domanda: il tuo sogno è giocare di nuovo in una squadra da scudetto in Italia o in Premier?
«Prima fammi fare bene al Southampton, a quel punto potrai chiedermelo. Altrimenti altro che squadra da scudetto». C’è sempre il Bologna che ha altri obiettivi. 

Fon te: CdS

 

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