IL MATTINO – Le strade maledette per i calciatori, ricordiamo quanti italiani

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Diogo Jota e Gaetano Scirea

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Non sappiamo se davvero gli eroi siano tutti giovani e belli, come cantava Francesco Guccini nel ricostruire le speranze di una generazione che voleva cambiare il mondo. Di certo l’abbraccio della morte ne ha preservato diversi dalla consunzione provocata dal fallimento, dalla delusione, dalla pura e semplice dimenticanza. La scomparsa ieri in un incidente di Diogo Jota, infatti, sembra essere l’ultima croce piantata in quella Spoon River di storie che legano il calcio ad automobili carnefici, come se il destino, saltuariamente, si divertisse a chiedere un pedaggio ad alcuni di coloro che Thomas Mann avrebbe chiamato “i beniamini della vita”, capaci di entrare nei sogni della gente col passo lungo dei benedetti dal talento..

GAETANO E I SUOI FRATELLI

La morte, del resto, è la livella che forse ci renderà buffi come Totò quando verremo chiamati alla resa dei conti. Prima però c’è il tempo delle lacrime, come quelle disperate che il mondo del calcio sparse per Gaetano Scirea, capitano della Juventus e campione del Mondo con gli azzurri nel 1982, che a 36 anni, il 3 settembre 1989, incontrò la Falce nel rogo della sua vettura a Skierniewice, in Polonia, dopo essere andato a visionare il Gornik Zarbrze, prossimo avversario dei bianconeri in Coppa. Il suo amico Dino Zoff più volte ha raccontato come non sarebbe stato indispensabile quel viaggio per una rivale tutto sommato modesta, ma nessuno scampa alla propria sorte, per quanto beffarda.

Come lo fu quella del 24enne granata Gigi Meroniinvestito in Corso Re Umberto, a Torino, alla vigilia di un derby, da un’auto guidata da Attilio Romero, destinato anni dopo a diventare presidente di un Toro privo di quella fantasia che Meroni aveva in abbondanza. Ma se il bianconero aveva concluso la sua carriera e il granata era in pieno decollo, nessuno saprà mai che cosa avrebbe raccontato la parabola di Niccolò, figlio dell’ex portiere Giovanni Galli, promettentissimo difensore morto ad appena 17 anni, schiantandosi contro un guardrail in manutenzione poco fuori dal centro sportivo del Bologna, dove lucidava le sue prime ambizioni.

Le ultime di Vittorio Mero, invece, si consumarono a 27 anni sull’A4 direzione casa, proprio mentre il suo Brescia – quello di Baggio e Toni – stava per disputare una storica semifinale di Coppa Italia contro il Parma. Una squalifica lo aveva tolto dal match, così come uno scontro lo sottrasse alla vita e al ruolo di Sceriffo, come era soprannominato, prima di diventare immortale per via della scelta di ritirare per sempre la sua maglia.

 

Ma se Mero fu una bandiera, Federico Pisani non fece in tempo a diventarlo, visto che le sue qualità da promettente attaccante dell’Atalanta si estinsero a 23 anni sulla Milano-Laghi, di ritorno da una serata al casinò a Campione d’Italia. Ovviamente, non solo in Italia si raccontano storie simili. In Spagna, ad esempio, José Antonio Reyes, ex Real e Atletico Madrid, morì il primo giugno 2019, a 35 anni, tradito dallo scoppio di uno pneumatico mentre viaggiava a 237 km orari. Stessa sorte per Jason Mayelé, 26 anni, partito dal Congo per morire in una semicurva nei pressi di Bussolengo per via della velocità eccessiva mentre il suo Chievo lo attendeva all’allenamento. Il nazionale ecuadoriano Marco Angulo, invece, è morto il novembre scorso in uno scontro nei pressi di Quito, così come tre mesi fa si è spento in Turchia il calciatore ceco Joseùf Sural, 28 anni, per via di un colpo di sonno dell’autista del pullman che riportava il suo Alanyaspor a casa.

 

IL CASO LENTINI

Fatalità. Simili a quelle che a volte graffiano soltanto, come capitò a Gigi Lentini – stella in ascesa del Milan e del calcio italiano – la notte del 2 agosto 1993, quando in autostrada scoppiò il ruotino d’emergenza della sua Porsche che viaggiava in direzione Milano a quasi duecento chilometri l’ora. La vita gli fu risparmiata e il calcio lentamente tornò a far parte dei suoi orizzonti, ma senza che gli fosse mai restituita la forza prorompente di un tempo. Del resto, le lamiere arroventate non hanno fatto sconti neppure ai piccoli e grandi James Dean del pallone, che sul sedile di un’auto da vetrina non immaginarono mai di viaggiare verso una gioventù bruciata sempre troppo in fretta.

 

FONTE: IL MATTINO

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