10 maggio 1987: il primo “Amore” che ha cambiato Napoli per sempre

Da Maradona a Conte, dalla magia alla programmazione: il primo scudetto non fu solo calcio, ma il cuore pulsante di una città che oggi sogna con consapevolezza.

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Non si scorda mai il primo amore. E neanche il primo scudetto, vivo nei pensieri perfino di chi non c’era il 10 maggio dell’87, perché quella domenica azzurra e tricolore è un notissimo pezzo di storia della città. Al San Paolo per Napoli-Fiorentina 82.579 spettatori e 132 striscioni: un’esplosione di felicità, il cielo letteralmente toccato con un dito dopo quasi sessantun anni di attesa. Una liberazione, nel segno di Maradona, il Capitano di un popolo, non soltanto di una squadra.

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«La gente cominciava a capire che non bisognava avere paura, che non vinceva chi aveva più soldi ma chi lottava di più: chi cercava», scrisse nell’autobiografia “Yo soy El Diego” il Comandante dei primi due scudetti. Sarebbero arrivati dopo oltre trent’anni Spalletti e Conte, che sta cercando di ribaltare un paradigma. Spalletti riportò lo scudetto a Napoli dopo 33 anni, stavolta potrebbero bastarne 2. E questo significherebbe che non è più un exploit sostenuto dalla presenza del primo calciatore al mondo, come accadde negli anni ‘80 ma un progetto che può concretizzarsi magari da una stagione all’altra, in base ai progetti tecnici, agli impegni finanziari e alla “fatica” come la chiama Antonio Conte.
Quei ragazzi dell’87 – appunto il primo amore – sono rimasti nel cuore dei tifosi. Nei vicoli non si scorgono soltanto i murales dedicati a Maradona: onore a lui e a tutti i suoi compagni, ad esempio con la distesa da un palazzo all’altro delle maglie azzurre dei giocatori del primo scudetto. Trentott’anni fa c’era un altro clima, un’emozione che andava oltre tutto perché giorni come quelli non erano stati mai vissuti. Oggi è il tempo della consapevolezza e della forza di una gestione societaria e tecnica. Le fiammate di quel Napoli bellissimo si spensero quando Maradona venne squalificato e si aprì la crisi del club di Ferlaino. Diego, come l’ingegnere aveva immaginato, fece del Napoli uno dei club più forti d’Europa (nell’89 sarebbe arrivata la Coppa Uefa, che aveva un valore tecnico superiore a quello della Euroleague di oggi) e di Napoli «un palcoscenico a cielo aperto», come felicemente titolò Il Mattino il giorno dopo il trionfo.
Ebbe, il primo scudetto, un significato non soltanto calcistico, come sottolineò il direttore di questo giornale, Pasquale Nonno, nel suo editoriale: «La vittoria del Napoli è il successo di un’azienda ben condotta, programmata con efficienza e intelligenza. Ed è questa considerazione che permette una proiezione extra-sportiva dell’avvento fino a considerarlo la punta dell’iceberg di una Napoli in un certo senso nuova, capace di superare vizi antichi e di convogliare positivamente una vitalità intellettuale e imprenditoriale già visibile». Segnali che si colgono anche in questa città che non vede l’ora di fare festa ma senza gli eccessi oleografici, proprio come accadde nell’87. «Chi aspettava la Napoli dei pazzarielli, il caos, l’entusiasmo balordo, per criticare e condannare come sempre, restò deluso», scrive Mimmo Carratelli nel libro “Orgoglio Napoli”.
Un Napoli nuova in una Napoli nuova aveva saputo costruire Ferlaino negli anni Ottanta e ha proposto De Laurentiis dopo aver consolidato il club post fallimento. C’è amore per quella squadra che fece battere il cuore, non un sentimento di nostalgia perché vincere qui non diventerà un’abitudine come per Juve, Inter e Milan ma non sarà più un’eccezione. Nell’87 non c’erano ancora i geni del marketing, si arricchì il mercato nero con la distribuzione di maglie, sciarpe, bandiere e altri gadget: si calcolò un giro di affari per 10 miliardi di lire. Un grande business, come quello dell’affluenza allo stadio: incassi per 19 miliardi in 15 partite. «Era un’altra epoca, mi sono chiesto spesso quali prospettive avrebbe avuto il mio Napoli con gli attuali introiti per i diritti televisivi», dice Ferlaino. Da queste parti c’è Bianchi in vacanza. L’allenatore del primo scudetto ha creato forti amicizie tra Napoli, Pompei, Vietri sul Mare, il Cilento. Neanche lui vive di nostalgie. «Un tempo bellissimo ma lontano, oggi a festeggiare devono essere questi ragazzi. A festeggiare se…». La scaramanzia di un bresciano diventato napoletano tanti anni fa.
Fonte: Il Mattino
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