La “richiesta” di Paolo Cannavaro a Mazzarri: vendicare Pechino 2012

L'intervista dell'ex capitano azzurro a Il Mattino

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«Cosa è accaduto? È arrivato Mazzarri…»

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Paolo Cannavaro lo conosce bene, è stato il capitano del suo Napoli dal 2009 al 2013. Non si è sorpreso per quel ritorno al passato (appunto: è arrivato Mazzarri), il 3-4-3 o 3-5-2 che ha sostituito il 4-3-3 di Spalletti. «Lo scudetto di Luciano è nella storia e lo è dal giorno dopo in cui è stato vinto. Ma poi un allenatore se ne va e si apre un altro ciclo»

Perché questo cambio di modulo e filosofia a Riad? «Mazzarri ha proposto il tipo di calcio che conosce meglio e che la squadra aveva bisogno di fare in questa fase. Ha percepito il momento sul piano tattico e fisico. Prima della semifinale di Supercoppa il Napoli era una squadra che subiva gol e non ne faceva, l’altra sera se n’è vista un’altra: più sicura e coesa, non ha concesso nulla agli avversari».

È cambiata la difesa. «La fase difensiva, magari. Ma questo non vuol dire che il Napoli abbia pensato a difendersi: i cinque schierati là dietro erano aggressivi, non attendisti. Tutti non vedevano l’ora di recuperare palla e ripartire. Visto Juan Jesus? Si è spinto fino alla metà campo e ha dato l’assist a Simeone. Si è esaltato tutto il gruppo in campo, non il singolo giocatore».

Si può fare un paragone con il Napoli di cui lei era capitano? «Lo spirito è quello, al di là di chi gioca: l’ho notato anche nell’esultanza dopo i gol».

Mazzarri ha precisato che non esclude il ritorno al 4-3-3. «Ha tirato fuori le sue conoscenze, che certamente non sono limitate a un modulo. Quando si è presentato a Napoli, ha spiegato che avrebbe voluto portare avanti quella idea. Se ci riusciamo, bene. Altrimenti, seguiamo un’altra strada nell’interesse della squadra. Siamo tutti figli del risultato».

Il suo ex allenatore, a proposito di Zerbin, ha fatto riferimento all’eccesso di esterofilia. «Posso assicurare che nei vivai e nelle categorie inferiori ci sono tanti italiani più forti degli stranieri. Non ci siamo dimenticati di come si gioca, ci siamo invece dimenticati di fare giocare i giovani, di concedere la possibilità di sbagliare e crescere. E gli spazi si riducono anche nelle formazioni giovanili. Noi abbiamo una cultura calcistica che deve essere valorizzata. Sembra che l’abolizione del Decreto crescita sia una tragedia per i club: non lo è se può creare spazi per gli italiani, perché ci sono stranieri che non valgono lo 0,001 in più dei nostri calciatori. Lo dico io che ho sempre condiviso lo spogliatoio con colleghi di altri Paesi».

Lunedì la sfida di Supercoppa riporterà Mazzarri al ricordo di Pechino 2012 e della sconfitta tra le polemiche contro la Juve: le espulsioni di Pandev, Zuniga e del tecnico, il rifiuto del Napoli di partecipare alla premiazione. «Il destino quasi permette a Mazzarri di prendersi una rivincita dopo 12 anni. Certo, l’ambiente di Riad non è esaltante: per la partita contro la Fiorentina c’erano 9700 spettatori, squadre della nostra serie C ne fanno molti di più. Nelle gare di Coppa Italia si sono riempiti tutti gli stadi italiani, soprattutto di bambini, i tifosi del futuro: perché non giocarla qui la Supercoppa?».

Come ricorda la sfida con la Juve, finita 2-4 ai supplementari? «Fu uno scippo. L’arbitro e i suoi assistenti non capirono che il loro ruolo è un altro: i protagonisti del calcio sono i 22 giocatori e non si può rovinare una partita con i cartellini gialli e rossi, non sorvolando su una parola di troppo che disse Pandev in un momento di stizza. Peccato che allora non ci fosse il Var. De Laurentiis decise di non farci partecipare alla cerimonia di premiazione: gesto antisportivo ma ne erano accadute troppe».

La vittoria della Supercoppa può dare la svolta alla stagione del Napoli? «Può ridare consapevolezza della propria forza a una squadra che si era un po’ smarrita perché i cambi tecnici lasciano il segno in un gruppo. I ragazzi tornerebbero a pensare: non siamo così male…».

E cosa potrebbe dare a Mazzarri? «Lui ha preso un impegno con Napoli. Rimanesse oltre il 30 giugno, sarebbe un uomo felice. Altrimenti amici come prima, come sempre».

 

Fonte: Il Mattino

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