De Laurentiis: «Io di Ceferin non parlo, si commenta da solo. Ci sono ragioni che vengono da lontano»

Come sempre il presidente del Napoli non le manda a dire

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Ora che i barbari sono stati costretti a ritirarsi, lasciando macerie nell’anima, Napoli-Eintracht diventa lo specchio di una calcio sbagliato, la distorta immagine d’un macro-universo che andrebbe governato diversamente, che avrebbe bisogno di pene certe, che andrebbe rielaborato, per non ritrovarsi a passeggiare tra le proprie rovine, mentre rovista nella retorica. «Io di Ceferin non parlo, si commenta da solo». Le due giornate di Napoli, in quell’atmosfera irrespirabile, tra il terrore e lo sgomento, stanno evaporando come l’insopportabile psicosi che s’è avvertita nei vicoli, nel Centro Storico, a Piazza del Gesù: e da quelle 48 ore – che ancora rappresentano il patrimonio dello scempio – Aurelio De Laurentiis ne esce addolorato ma anche arrabbiato, inviperito con il sistema e contro questa società moderna che si fa scudo della retorica tanto al chilo. «Ci sono ragioni, in questi scenari, che arrivano da lontano, che hanno radici profonde e meriterebbero azioni serie: lo dico da un po’, forse da sempre, io vorrei che anche qui da noi si applicasse la legge inglese, con una regolamentazione che trasformasse lo stadio in un luogo sacro per le famiglie, per i bambini. Sono fiero che l’altra sera il Maradona abbia offerto la sensazione di essere in Gran Bretagna, ma servono ulteriori interventi».  

 

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 APPELLO

 

C’è un calcio che indigna, ma forse sino al giorno dopo o alla successiva ondata di violenza, che non può derubricare il 14 e 15 marzo del 2023 come incidente di percorso e c’è un sistema che implode, che De Laurentiis virtualmente sembra screditare per manifesta incapacità con una delle sue provocazioni forti:

«Bisognerebbe chiedere con cortesia alla signora Von Der Leyen di interessarsi di calcio. Non se ne può fare a meno, non si può lasciare in mano a chi ha posizioni dominanti. Queste cose non possono accadere, è indispensabile evitare episodi del genere mettendoci la faccia come hanno fatto Prefetto e Questore, che hanno avuto gli attributi e avevano detto di no».

Napoli-Eintracht è stato tante cose, pure calcio, però poi c’è stato il clima da guerriglia urbana, gli scontri, una striscia di tensione che ha occupato la scena ed ha lasciato il calcio quasi ai margini, trasformandolo a dettaglio dinnanzi allo scempio d’una città prigioniera (persino) d’un corteo di seicento tedeschi inferociti. «E noi dovremmo usare i soldi per rifare impianti che poi dovrebbero essere devastati? C’è una cultura sbagliata, vale per chiunque, ci sono reietti che si uniscono per fronteggiare le forze dell’ordine». E ci sono ormai «patti internazionali» che trasformano il tifo in delinquenza organizzata, accordi definiti gemellaggi che scatenano l’odio e abbattono qualsiasi principio. «Quello che sembra possa essere racchiuso in un confronto tra tifoserie, in realtà è un pretesto per mettere a dura prova l’ordine costituito. Ma il casino, se vogliono, lo facciano a casa loro, perché allo stadio ci vanno le famiglie alle quali non bisogna far fare un giro di cocaina, né far fumare marijuana, né fargli trovare un’arma, né far sentire che… “in fondo il Napoli siamo noi”».

ATTESA

 

Ma Napoli-Eintracht ha sottolineato la fragilità d’un movimento, delle sue regole appiccicose e antiche, un’anarchia che ha trascinato tedeschi senza biglietti in una città messa sottosopra e divenuta ostaggio della violenza: un segnale, l’ennesimo, da non sottovalutare per il futuro, nel quale De Laurentiis si è lanciato: «Ora dobbiamo preparare qualcosa di più importante, permettere a tre milioni di napoletani di festeggiare a breve qualcosa di storico. È importante voltar pagina, metterci tutto alle spalle». Evitando di far finta che non sia successo niente: perché le orme degli invasori restano nella coscienza.

Fonte: CdS

 

 

 

 

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