Ibra ai microfoni della Gazzetta: “Kvaratskhelia il giocatore che più mi ha impressionato in serie A”

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Parla Ibra e l’allestimento del set richiede ore di studio. La seduta di Zlatan, il tavolo che entra nell’inquadratura, il pannello con gli sponsor alle spalle. Davanti decine tra telecamere e smartphone. Giornalisti dall’Italia e tutte le principali testate degli Emirati. Zlatan arriva in tuta rossonera e capelli raccolti, riorganizza la sceneggiatura, sorride: «Che tensione, rilassatevi! Oggi parla Ibra». E si offre: «Italiano, inglese, anche arabo se volete». I concetti sono universali.

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Ibrahimovic, quando prevede di tornare a giocare?«Sto bene, miglioro giorno dopo giorno, seguo il protocollo che ci siamo dati. Al Milan manca Ibra ma è vero anche il contrario: a Ibra manca il Milan. Da fuori non è la stessa cosa: sono vicino alla squadra nelle motivazioni, nella responsabilità, nelle pressioni. Vivo la gara con adrenalina, ma resto abituato a stare in campo».

Pronto per la Supercoppa del 18 gennaio o più avanti, magari al top per la Champions di metà febbraio?«Non c’è un calendario stabilito per il rientro: sono esperto di gestione degli infortuni, sbaglierei a fissare una data precisa. Fosse per la voglia, sarei stato titolare alla prima di campionato. Ma non ragiono più così: quando sarà pronto, giocherò. Non posso andare in campo solo perché mi chiamo Ibrahimovic e magari passare una partita a camminare. Se ci sono, devo incidere: altrimenti meglio panchina o tribuna».

Ibra in panchina: ne è sicuro?«Certo, non ho più l’ego di dieci anni fa. Oggi sono diverso, più maturo, più responsabile: mi metto a disposizione dei più giovani e dell’allenatore, è lui che decide. Non penso più di poter fare tutto da solo: rispetto ogni scelta, anche se non mi dovesse premiare».

Nuovo spirito, ma sempre il solito Zlatan: perché non chiudere dopo aver alzato la coppa dello scudetto?«Perché sento ancora l’adrenalina, l’emozione del pubblico, l’odore del campo. E perché non mi accontento, voglio sempre fare di più. Così mi sento vivo. Ho scelto di operarmi non solo per poter andare avanti a giocare ma anche per stare bene: negli ultimi sei mesi della scorsa stagione ho sofferto tantissimo, in silenzio. Non volevo dirlo per non portare negatività sulla squadra».

Quali sono i suoi nuovi obiettivi«Tutti. Se sono qui è perché ci credo. Campionato, Coppa Italia, Supercoppa, Champions: vogliamo tutto. Mollare un obiettivo, significa mollarli tutti. E la nostra mentalità non è più questa».

Davvero la Champions? Sogno o traguardo reale?«Non ho sogni, solo obiettivi. I sogni lasciamoli agli altri: noi facciamo. Tutto è possibile, il calcio lo insegna. Accadono cose che mai ti saresti aspettato. Guardate il Marocco ai Mondiali: anzi no, Zlatan lo aveva detto che il Marocco era forte e che Amrabat era davvero bravo. Il Milan ha un collettivo molto, molto forte. Altre squadre, e lo abbiamo visto contro il Chelsea, magari hanno più individualità e di certo più esperienza. La nostra forza è il gruppo. Ci crediamo, lavoriamo per questo: siamo più maturi, più consapevoli, abbiamo più giocatori che oggi possono fare la differenza. E chi c’era l’anno scorso ora sa cosa serve per vincere».

Per la possibile rimonta scudetto vale lo stesso?«Ovvio. Al momento siamo secondi, al momento. Il Napoli è forte, Kvaratskhelia il giocatore che più mi ha impressionato. Ma anche la Juve sta rientrando e l’Inter è in corsa. Noi però ci siamo. In più questo è un anno troppo particolare con la sosta invernale e il Mondiale giocato in mezzo: sarà un campionato più di condizione e meno di qualità. E per la mia lunga esperienza di vittorie dello scudetto, so che è sempre decisiva la seconda parte della stagione».

È nella testa la prima differenza tra il Milan di due anni e mezzo fa e questo?«Il mio primo giorno del gennaio 2020 era tutto diverso. Non mi sembrava una squadra che voleva ambire allo scudetto o che era portata a fare quello che poi ha fatto. Oggi ha fame, voglia, spirito di sacrificio. E un obiettivo: vincere. Allora c’erano tanti singoli, ora c’è un gruppo. E Pioli è stato bravissimo a farsi seguire da tutti: le sue idee sono risultate vincenti, il suo lavoro credibile e convincente».

Tornando al punto di partenza, Ibra sarà pronto per la Supercoppa contro Lukaku o in Champions per cercare il gol più “vecchio” nella storia della competizione?«Spero di essere in campo contro l’Inter ma chissà. Lukaku? Niente da dirgli, spero stia bene e che possa esserci. Lo stesso augurio che mi faccio io. Per il resto penso a me, mica agli altri: loro devono aver paura. E il record della Champions non mi interessa. Mi interessa segnare, solo quello».

Un suo compagno lo sta facendo alla grande: ha passato a Giroud il suo segreto di gioventù?«Effettivamente lui non lo dirà mai ma io sono il suo idolo… Olivier è un grande, è fondamentale per noi. È stato importantissimo l’anno scorso, quando io non c’ero, ed è decisivo anche quest’anno. E come gli riesce bene con il Milan, lo stesso succede con la Francia. È una persona fantastica, seria, elegante. E un professionista eccellente. È un altro che ha ben chiari i suoi obiettivi: sa che può ancora determinare, e va avanti. Se non ne fosse più convinto farebbe lui un passo indietro».

Passi avanti deve farne Leao: gli consiglia di restare al Milan?«Per forza, il Milan è l’ambiente giusto per lui. Basta osservare la sua crescita: quando è arrivato era lontano dal giocatore determinante che è oggi. Qui è importantissimo per noi, altrove lo sarebbe altrettanto? Dovrebbe ripartire da zero, non puoi essere sicuro di essere subito pronto. Al Milan ha fiducia, spazio e libertà, cosa che in un altro club non è scontata: dipende da te. E poi si vede che qui è felice: ormai ride ancora prima di segnare».

Può arrivare ai livelli di Ibra?«È il giovane che più di tutti è cresciuto. Theo è migliorato tantissimo, De Ketelaere è forte e serve pazienza. Ma Leao è di un altro livello, sopra la media. Gli manca uno step: lo farà solo quando si convincerà pienamente delle sue capacità. Oggi nemmeno lui sa davvero quanto è forte. Allora farà davvero paura. E il prezzo salirà…(ride)».

Gli dice qualcosa per stimolarlo?«Quando fa bene lo massacro, un massacro totale: non deve accontentarsi di quello che sta facendo. Troppo facile fare i complimenti quando le cose vanno alla grande, o dirgli sei scarso quando vanno male: con lui faccio il gioco contrario. Ma parlo con tutti, dipende dal momento e resta segreto… Non ho un copione preparato: Pioli lo sa, resta nella sua stanza dello spogliatoio e mi lascia un po’ di minuti per parlare ai compagni, così mi sfogo!».

Ibra, anche lei avrà uno spogliatoio da allenatore tutto suo, in futuro?«Perché non sono già oggi allenatore? Scherzi a parte, ora non ci penso. Allenare è una grande responsabilità. Ed essere stati grandi giocatori non garantisce in automatico di diventare grandi allenatori. Non lo è stato per Zidane o Guardiola e non lo sarebbe per Ibrahimovic. Non ci sono vantaggi, servono studio e lavoro, step dopo step».

 

Fonte: Gazzetta dello sport

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