Antognoni a “Il Mattino”: “Spalletti è un genio da scudetto. Lobotka? Ci provai a portarlo a Firenze”

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Giancarlo Antognoni, l’eterno numero 10 di Fiorentina (ha indossato la maglia viola dal 1972 al 1987) e Italia, non riesce a dimenticare il pomeriggio dell’illusione.

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«Vincemmo a tre giornate dalla fine sul campo del Napoli e con un mio gol che ci consentì di conquistare il primo posto in classifica, poi però all’ultima giornata lo scudetto lo vinse la Juventus con quel rigore di Brady a Catanzaro».

Era il 25 aprile del 1982, poche settimane dopo Antognoni divenne uno degli eroi del nostri calcio, con quel Mondiale in Spagna che questa estate compie 40 anni.

Antognoni, col Var vi sareste giocati il campionato allo spareggio?
«Vero, difficile che rivedendo il gol valido di Graziani a Cagliari alla moviola, l’arbitro poi ce lo avrebbe annullato. Però con la moviola mi avrebbero anche dato il quarto gol che ho segnato al Brasile al Sarrià. Poi, però, magari la parata di Zoff non sarebbe stata così epica…».

Chi vince lo scudetto quest’anno?
«È un campionato combattuto, il mio amico Spalletti sta dimostrando quello che vale: poche chiacchiere e tanta sostanza. Alejandro Rosalen Lopez, il preparatore dei portieri, è un’altra persona a cui sono molto legato nello staff azzurro. Il Napoli ha un collettivo solido, capace di gestire ogni genere di partita come ha dimostrato anche a Bergamo. Se vedo il calendario penso che l’Inter possa avere un pizzico di vantaggio rispetto anche al Milan. Se, però, vedo i risultati e penso che anche il Bologna ha fermato i rossoneri, vuol dire che davvero è tutto possibile ancora».

Giochiamo Napoli-Fiorentina di domenica. 
«Italiano è stato capace di far volare i viola: il miglioramento rispetto alla stagione passata è netto, evidente. C’è un gioco, una personalità e Luciano sa che deve stare molto attento alle insidie di questa partita: certo c’è Nico Gonzales ma mica solo lui. Per me la Fiorentina è un gruppo che va temuto, ha un collettivo che può far molto bene».

E questo Napoli?
«Tutti si sorprendono per Lobotka. Ma quando era al Celta Vigo anche io provai a portarlo alla Fiorentina. Ha testa, piede. Come Zielinski che ho sempre seguito fin dai tempi dell’Empoli. Ma trovatemi un punto dove il Napoli è carente: anche l’esordio di Zanoli è stato positivo. Vuol dire che Spalletti ha saputo lavorare con pazienza con questo ragazzo».

Lei scelse il Losanna, nel 1987, dopo 15 stagioni di onorata milizia viola. Più o meno come ha fatto Insigne?
«Sì, è doloroso staccarsi la maglia di una vita da dosso. Io sono fiorentino d’adozione, lui è napoletano verace. All’inizio non è semplice, è come se ti venisse a mancare qualcosa dentro. Io di proposte ne ho avute tante, dalla Juventus e dalla Roma, ma la mia è stata una scelta di cuore, perché Firenze è casa mia. E l’amore che i fiorentini provano per me ha sempre ricambiato questa mia decisione».

Quale l’arma in più per aggiudicarsi questa volata per lo scudetto?
«La regola è che la differenza la fa sempre chi ha l’uomo che fa i gol là davanti. Noi in Spagna abbiamo avuto Paolo Rossi, ora mi sembra che Osimhen sia uno di quegli attaccanti capaci di far svoltare la gara in ogni momento. Però attenzione alla regole delle regole: i campionati si decidono contro le piccole, nelle gare contro avversari che sembrano non abbiano nulla da perdere».

È una serie A lontana anni luce da quella degli anni ‘70 e ‘80.
«Beh, difficile che possa ricapitare di affrontare Platini, Zico e poi anche Maradona. Il giorno del primo scudetto del Napoli noi eravamo lì al San Paolo, e ricordo la festa di quello stadio che aspettava quel successo da anni. E io quella gioia l’avevo solo sfiorata cinque anni prima…».

De Laurentiis sembra avere le idee chiare sulla gestione dei club?
«Vero e mi pare che un po’ tutti adesso stiano andando nella sua direzione. Anche la Juventus sta mandando segnali chiari nell’ottica del ridimensionamento degli ingaggi. Questi costi scenderanno ancora».

Quarant’anni fa l’Italia trionfò a Madrid. Ora neppure ci andiamo al Mondiale.
«La Nazionale non va rifondata. Per certi versi è come nel 1986 quando Bearzot in Messico decise di affidarsi ai giocatori campioni del mondo. Come Mancini ha fatto adesso con i campioni d’Europa. Non bisogna gridare alla catastrofe, Mancini riporterà in alto l’Italia. Se poi magari nei settori giovanili si dà meno spazio agli stranieri».

Un campione della sua era che potrebbe fare la differenza. 
«Sicuramente Maradona. Lui vinceva le partite da solo. Un campione senza età. Oggi non ce ne sono di numeri 10 come lui».

P. Taormina (Il Mattino)

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