Delio Rossi ricorda Zamparini: «I licenziamenti? Non voleva yesman E il suo sogno era fare l’allenatore»

Il ricordo del presidente di Venezia e Palermo di Delio Rossi

0

Dal 2009 al 2011 Delio Rossi si è accomodato sulla panchina del Palermo. Forse mai saldamente, perché con Zamparini il posto fisso era un’ipotesi impossibile, ma con la certezza di avere a che fare con un presidente che amava profondamente il calcio. Insieme sono arrivate le soddisfazioni in serie A e la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter.

Factory della Comunicazione

E allora cosa le viene in mente se ripensa a Zamparini? «La prima cosa che mi verrebbe da dire è che era una persona appassionata e innamorata del calcio. E per questo penso che una figura come la sua mancherà eccome al nostro calcio».

Ovvero? «Ha fatto la fortuna del nostro calcio, come Rozzi, Anconetani, la famiglia Moratti o quella Agnelli. Era gente di calcio, gente che al calcio ha dedicato la vita. Con me, ad esempio, parlava sempre di calcio. Mai una parola sulle sue altre attività. Questo perché il calcio gli piaceva da matti e allora, anche se sapevo che fosse sopra di me in una scala gerarchica, avevamo un rapporto amichevole. Sicuramente litigavamo, ma avevamo anche un rapporto molto schietto».

Quando un allenatore veniva chiamato da Zamparini per allenare una sua squadra cosa pensava?
«Non so gli altri, ma io ero e sono totalmente convinto delle mie qualità. Quindi quando mi ha chiamato ho pensato: Male che va mi manda via. E alla fine forse sono durato più degli altri».

Come mai, secondo lei? «Forse perché gli dicevo sempre se non ero d’accordo con le sue idee. E questo non gli dava fastidio, anzi: gli yesman non erano il suo genere».

E lui che genere era? «Un presidente-allenatore».

In che senso? «Sono sicuro che se avesse avuto il tempo gli sarebbe piaciuto andare a Coverciano e prendere il patentino. Questo perché voleva sempre dire la sua e la frase storica dopo una sconfitta era: Te l’avevo detto?».

E dopo una vittoria? «Beh, in quel caso era merito suo. Ma gli volevo bene anche per questo. Racconto un aneddoto».

Prego. «Dopo una sconfitta a San Siro per 3-1, nella quale prendemmo gol su punizione, io ero arrabbiato e tornai a Roma dalla mia famiglia. Lui mi convocò di fretta a Udine, a casa sua, dimostrandomi quanto mi ritenesse uno di famiglia. Voleva farmi vedere dei video della partita per dimostrarmi che sul calcio di punizione decisivo stavamo marcando male».

Tutto qui? «Sì, poi mi fece tornare a Palermo a dirigere l’allenamento».

Però sapeva anche scoprire grandi talenti… «Ha saputo trasformare scommesse in campioni. Ogni giocatore scoperto me lo presentava come il migliore del mondo e si emozionava davanti a quei giocatori più tecnici ai quali concedeva anche qualcosa in più dal punto di vista comportamentale. Miccoli, ad esempio, era proprio un figlio suo».

Fonte: B. Majorano (Cds)

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.