Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il visconte”

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Laurent si muoveva sul prato come un Valmont della pedata. Incantava. Trattava la palla con l’archetto di un piede francese. Suonava note da belle epoque calcistiche. Questo accadde poi, in un tempo lontano da Napoli. Perchè visse una romantica, ultima stagione di un Napoli vicino alla decadenza. Una struggente stagione al suono di fisarmoniche. Con i cieli solcati da nuvole di panna, nell’azzurro, prima della tempesta. Un francese come lui seppe narrarla in modo magnifico. Il Napoli di Laurent Blanc, il Napoli dell’ultimo Careca. Di Zola. Lui al centro di un reparto difensivo dal dismisurevole talento offensivo. Un Napoli dalle mille espressioni. Francese nel modo, per gusto del gioco, francese per quella sua inclinazione ad assumere atteggiamenti guasconi e poi, subito dopo,  languidamente indifesi. Un Napoli con la “erre” arrotata ed affascinante, un Napoli francese in ogni sua espressione. Vittorie venute a suon di gol, sconfitte arrivate alla stessa maniera. Senza mai mezze misure. Blanc era un goleador di medesima eleganza. Testa o piede, per lui erano eguali. Sapeva mescolare le due aree di rigore con un “voilà”. Uno svolazzo. Un solo anno. Di prodigi e sogni. Un anno, quello seguito all’addio di Diego, di ferite e rimpianti curati con l’unguento di un “fleur de lise”. Un fiordaliso. Prima di un bosco di cipressi. Laurent andò via. E ce lo ritrovammo contro in una sera di autunno, con la maglia dell’Inter. Segnò un gol iperbolico, dopo una discesa ed uno scambio volante con Zamorano, affondando nella difesa di un Napoli zemaniano come un coltello nel burro. Filò quasi in porta con il pallone, dopo una corsa a campo aperto di quaranta metri. Poi festeggiò. Senza alcun astio ed anche senza falsi tributi alla maglia che aveva indossato. Con poco riguardo, come è giusto fare. Al suono di fisarmoniche immaginarie. Un Valmont della pedata. Capace di corteggiare ed abbandonare, allo stesso modo. Un francese, fino in fondo.

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di Stefano Iaconis

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