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È morto a 91 anni Emilio Acampora. Se ne va una figura storica del calcio napoletano visto che è stato per tanti anni il medico sociale del Napoli. Si legò molto a Maradona il quale gli scrisse una dedica su una foto in bianco e nero: “Al mio grande idolo”. Diego raccontò che il medico del Napoli lo aveva conquistato con una battuta a Verona, nella domenica del suo esordio in serie A, 16 settembre dell’84. «Emilio, tu sei napoletano e non ti offendi a sentire quel coro?». Dalla curva dei veronesi urlavano: «Colerosi terremotati che con il sapone non vi siete mai lavati». Il dottore sorrise: «Sai, Diego, io mi lavo tutti i giorni». E si abbracciarono forte, come avrebbero fatto dopo lo scudetto e la Coppa Italia dell’87 e la Coppa Uefa dell’89, l’ultimo successo con Acampora in panchina: lasciò il posto al medico ed ex arbitro Roberto Bianciardi, amico del direttore generale Luciano Moggi, anche perché aveva accusato un lieve malore durante una partita a San Siro in una domenica freddissima. Trent’anni in azzurro per il dottor Emilio, originario di Agerola e trasferitosi con la famiglia a Napoli nel 1939. Laureatosi in medicina, entrò nel club azzurro all’inizio degli anni ‘70: il costruttore Marino Brancaccio, vicepresidente del Napoli e responsabile del settore giovanile, gli chiese di occuparsi della Primavera, che nel ‘75 vinse il Torneo di Viareggio sotto la guida del napoletano Rosario Rivellino. Un anno dopo, Acampora fu promosso in prima squadra e cominciò un intenso rapporto con allenatori e giocatori. Forte il legame con Rino Marchesi, un gentiluomo che fece sognare lo scudetto ai napoletani nell’anno del terremoto e che fu il primo tecnico di Maradona, e con Bruno Pesaola, assistito dal dottore fino alla sua morte cinque anni fa. Tra i calciatori, l’amicizia salda con i capitani Claudio Vinazzani e Beppe Bruscolotti. E con Maradona fu intesa a prima vista, fin dalle visite mediche nel ritiro a Castel del Piano. Acampora sapeva tutto non solo dei problemi fisici di Diego, che spesso per i dolori alla schiena convocava a Napoli il medico argentino Ruben Oliva (un “mago” delle infiltrazioni), ma anche dei suoi vizi. A volte, in segreto, si recava a casa del capitano in via Scipione Capece, per scuoterlo e sollecitarlo ad andare al campo Paradiso per allenarsi.Maradona si fidò subito del dottore, sicuro che non avrebbe spifferato nulla di quanto accadeva nello spogliatoio. Emilio negò qualsiasi notizia perfino al fratello Romolo, caporedattore del Mattino, non amando pubblicità e luci della ribalta, considerando questa professione una missione. Il campo di Soccavo, lo stadio, ma anche e soprattutto lo studio medico in via Lepanto, a trecento metri dal San Paolo, sempre affollato: migliaia di pazienti sono stati i suoi campioni. Quando vengono a Napoli,Maradona e il suo ex preparatore atletico Fernando Signorini chiedono notizie del dottor Acampora. Come Careca, che ricorda ancora bene cosa accadde il 16 maggio dell’89 nell’albergo di Stoccarda alla vigilia della seconda finale di Coppa Uefa. Il bomber brasiliano aveva la febbre alta e la sua presenza era fortemente in dubbio. Acampora trascorse la notte nella sua stanza per assisterlo con flebo ricostituenti. Finì 3-3, Careca segnò il terzo gol e strinse il medico in un forte abbraccio mentre Maradona sussurrava all’orecchio di Ferlaino: «Ho vinto la coppa, ora devi cedermi al Marsiglia». Alla fine degli anni ‘70, diventato il dottore della prima squadra, Acampora organizzò la consulta sanitaria, prima rete tra gli specialisti nel calcio italiano. A capo il professore Emilio Marmo, docente di farmacologia e consulente del Comitato olimpico internazionale. E poi professionisti napoletani di primissimo piano: l’ortopedico Eugenio Iannelli, l’otorino Eugenio D’Angelo, il cardiologo Federico Gentile e il radiologo Enrico Del Vecchio. Era una squadra chenon sbagliava un gol, anzi una diagnosi. Fosse vivo Maradona, ci sarebbe rimasto molto male per la morte di Emilio Acampora.