Dossena: «E’ ora di fare Superaccordi tra i club, bisogna mettere un freno alle spese»

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È stato campione del mondo nel 1982 con l’Italia e recentemente ha concorso per la presidenza dell’Assocalciatori: Beppe Dossena continua ad avere un occhio attento e vigile sul calcio italiano e non solo, facendo grande attenzione a quelle che potrebbero essere le necessità di domani.
E allora, cosa si aspetta dal mondo del calcio dopo il flop della Superlega? «Partiamo da un presupposto: non tutti i concetti espressi dalla Superlega sono da censurare, anzi alcuni secondo me sono condivisibili».
Andiamo con ordine. «L’80% delle spese di un club gira attorno agli stipendi dei calciatori e alle commissioni versate nelle casse dei procuratori. E al momento sembra che nessuno voglia fare i conti con questi due elementi fondamentali. Invece, bisogna capire che è venuto il momento di ridimensionare tutto».
Ok gli stipendi, ma con i procuratori cosa si può fare? «Attenzione: non tutti loro sono il diavolo. Penso che se si riuscisse a trovare un equilibrio ci sarebbe spazio per tutti».
A cosa si riferisce? «Serve uniformità tra i top club. Ad esempio fissare una percentuale da versare ai procuratori e che sia uguale per tutti. Una sorta di gentlemen agreement. Insomma: avevano pensato a una Superlega? Al suo posto facciano dei Superaccordi internazionali. Si riuniscano tutti in un Supersummit dal quale non si esce senza aver prima definito delle linee guida che tutti devono seguire. Altrimenti sono sicuro che tra qualche anno ci troveremo davanti allo stesso identico problema. Perché il rischio default del calcio c’è e ci sarà sempre».
Altra questione: ripartire dai giovani può essere utile? «Utilissimo. All’estero, bene o male, trovano spazio ed hanno una forma di gratificazione. Ma in Italia si potrebbe rendere obbligatorio dedicare una percentuale degli introiti di ogni club alla valorizzazione dei settori giovanili».
E cosa ne pensa degli investitori esteri? «Sono favorevole all’ingresso di fondi che possano essere utilizzati per sorreggere l’industria e sono sicuro che se ne renderanno conto anche le istituzioni sportive come Uefa e Fifa. Ma ad esempio in Italia bisogna essere più accoglienti nei confronti di chi vuole investire».
Cosa intende? «Non dobbiamo avvilire e spiaggiare i vari Commisso o Friedkin con commissioni infinite per decidere dove e come fare uno stadio. Ok, i vincoli e le legge, ma facciamo in fretta. Stiamo allontanando gli imprenditori perché non c’è certezza, non c’è visione e non c’è progettazione».
Cosa si può prendere di buono dal fallimento della Superlega? «È il momento migliore per far sedere allo stesso tavolo tutti e discutere. Ma non solo club ed istituzioni. Bisogna coinvolgere anche i calciatori, gli allenatori e tutti quelli che ruotano attorno a questo mondo».
Cosa si aspetta ora da Uefa e Fifa? «Hanno un’occasione d’oro. Non devono sprecarla pensando a vendette ed esecuzioni sommarie: devono usare il cervello e l’equilibrio. Questa loro vittoria deve essere un’occasione per pensare al calcio di domani e portarlo verso una dimensione più reale, anche perché mi sembra che i club pensino di essere isole autonome rispetto al resto della società civile».
Secondo lei cosa non è andato nella nascita della Superlega? «È naufragata per una serie di motivi. Non voglio pensare che non avessero pensato al fuoco incrociato, ma temo non avessero una giusta percezione della reazione politica. E poi sono stati sbagliati i tempi i modi e della comunicazione. Cosa peraltro stranissima da parte di un gruppo di imprenditori di enorme spessore ed esperienza consolidata».

Factory della Comunicazione

B. Majorano (Il Mattino)

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