S. Ceci, manager e amico di Diego: “Non giudicatelo: zitti, lo hanno lasciato solo!”

Stefano Ceci per vent’anni il suo manager:  uomo-ombra e grande amico di Maradona

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E dunque, come in cielo così in terra, non c’è un attimo di pace: però era anche tutto previsto che durante il suo viaggio per andare incontro al «Barba», Diego sentisse l’eco degli schiamazzi. La corte è rimasta più o meno lì, intorno al suo corpo spento e ormai dissolto. E mentre in Argentina c’è la ressa, sembra di vederla, sui resti di Diego, a Dubai c’è un uomo, Stefano Ceci, che se ne sta a guardare alle proprie spalle: è stato un manager di Diego, la sua ombra per vent’anni, l’ha prima inseguito e poi ha cominciato a seguirlo. «Ma io sono quello che gli andava a sistemare le coperte la sera, prima che tentasse di addormentarsi». Questa è una storia di numeri e di nomi, di stranissime coincidenze, di sensazioni e persino di scaramanzia: sembra l’abbia scritta Marquez o il Cervantes o Perez Reverte o Soriano e invece c’è la firma di Diego Armando Maradona.  

 

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Ceci per Maradona è stato… «Facile dire il manager, però metteteci prima pure la parola amico. Che sinceramente gli ha fatto compagnia per vent’anni: ci entrai in confidenza il 20 ottobre del 2000, e sono sempre uscito di scena quando s’alzava il sipario. Ma è inevitabile. Mia figlia è nata il 5 luglio, guardi un po’, e ovviamente si chiama Mara Dona, sono due nomi che pronunci e ne viene fuori uno solo. Ho cominciato a temere tempo fa, quando la testa mi portò a fare una strana addizione: Diego è nato il 30/10/60. Faccia la somma. Viene fuori 100, lo stesso risultato di 20-20 e 60, cioè l’anno in cui viviamo e la sua età. Le sembro cervellotico?».

Perché questa ossessione di avvicinarlo? «Io volevo conoscerlo, perché lo adoravo e sono riuscito anche accudirlo come si farebbe con un padre. Sono un napoletano che nell’83 con la propria famiglia si trasferisce in Calabria, a Catanzaro. Diego arriva nell’84 io da quel momento non ho fatto altro che sfiorarlo, fino a quando Bigliardi, che era amico, mi introdusse nel Napoli».

E’ stato a lungo un tifoso-nomade. «Partivo in treno a mezzanotte dalla Calabria, alle cinque e mezza del mattino ero a Fuorigrotta, andavo al San Paolo, scavalcavo e per evitare la ronda degli uomini di controllo, salivo fino alla tettoia e lì restavo fino a quando aprivano i cancelli. Uscivo sempre a cinque minuti dalla fine, altrimenti avrei perso l’Intercity per tornare a casa».

L’amico-manager nasce nel 2000. «L’ho conosciuto bene a Cuba, gli sono stato a fianco sempre. Anche ora che eravamo distanti, perché da Dubai dove vivo non è semplice raggiungerlo. Quando Diego era in Messico, ai Dorados, ci volevano ventisei ore di volo e cinque scali, partivo al giovedì ed arrivavo al sabato».

Sentiva che stava per finire… «Mi ha mandato un video, recentemente: sembrava una candela che stava per spegnersi, ammazzato da un’ esistenza attraversata a trecento all’ora. I suoi sessant’anni sono stati in realtà centoventi, ha fatto tutto in libertà, poi è crollato di schianto, quasi fosse stanco di guardare ciò che succedeva intorno a sé. L’hanno disintegrato anche psicologicamente con le baruffe che le sue tante vite hanno determinato e che ora annunciano la sfida sull’eredità».

E’ ormai nell’aria questo clima di veleni. «Si è visto e sentito alla Casa Rosada, in queste beghe tra chi doveva stare al fianco del feretro e chi invece ne è stato tenuto lontano. Ora verranno fuori le varie confessioni segrete, che ognuno affiderà al proprio cronista amico. E’ triste ciò che sta succedendo e che però lui aveva previsto: è morto in pace, nel proprio letto, ma adesso si scatenerà la guerra».

L’uomo dei sogni sognati ne ha viste tante e lei con lui. «Gli sono grato per avermi voluto al suo fianco: un giorno a Victor Hugo Morales, ch’è stato il suo cantore memorabile con quella telecronaca del gol del secolo divenuta colonna sonora degli argentini, spiegò chi fosse il «Tano» l’italiano, il napoletano – che l’accompagnava. Lui è la mia ombra fedele e guai a chi prova a toccarlo».

Si può ricostruire un Atlante di Diego. «Da Fidel a Raul Castro a Maduro, in giornate d’adrenalina ma stressanti. E alla sera le pastiglie gliele davo io con il bicchiere d’acqua».

La Napoli di Diego non è stata solo il San Paolo, perché al San Carlo s’è ritrovato con un’aura intorno a sè. «Fu tutto pazzesco. Arrivammo alle 12.30 a Fiumicino, corremmo in macchina prima da Costanzo e poi sino a Napoli. Arrivammo a sera e lui fece le prove al Vesuvio, non aveva bisogno di ripetere due volte i testi e Alessandro Siani, che aveva organizzato «Tre volte dieci» per il trentennale dello scudetto, restò a bocca aperta e gli disse: ma che artista sei? Penso che il palcoscenico del San Carlo non è mai stato concesso ad uno sportivo».

Maradona è stato un brand… «E tale è rimasto, perché ci sono contratti ancora esistenti, che avranno valore pure con la scomparsa di Diego. E’ vero che erano scaduti nel dicembre scorso, accordi commerciali storici, come quello della casa di abbigliamento sportivo con cui è rimasto in abbinamento per quarant’anni, ma il nome e il fascino del campione non hanno mai perduto il proprio fascino. Provvederò ad informare l’avvocato Morla degli accordi di cui sono a conoscenza e che ho seguito. Poi eviterò di guardare quello che accadrà. Intorno all’ombra di Diego compariranno tutti quelli che lo hanno lasciato morire da solo».

Diego e Maradona sono stati due corpi e due anime. «In tanti hanno semplicemente attinto da Maradona, ignorando Diego. C’è ancora qualcuno a cui viene accreditato, mensilmente, lo stipendio, riconoscimento di non so bene cosa. E’ stato un benefattore e c’è invece chi, ignorandone la sua natura e la sua generosità, si accanisce sulle sue fragilità. Stessero zitti. E portino rispetto».

E’ innegabile che ci fosse stato sempre il caos in questi sessant’anni di Diego. «E nessuno vuole negarlo. E questo ha contribuito ad accelerarne il declino, a caricarlo di ulteriore stress, di quella pressione che in un fisico già appesantito e violato da debolezze, è stata poi decisamente fatale. E’ chiaro che adesso si scanneranno per dividersi un tesoro tra mogli, figli, nipoti». 

A. Giordano (CdS)

 

 

 

 

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