L’ex Crippa: “Per un azzurro farei follie. Non avrei mai lasciato Napoli, ma Bianchi mi disse…”

0

Più della Coppa Uefa dell’89 e dello scudetto del 90, per Massimo Crippa il ricordo indelebile di quegli anni in azzurro (dall’88 al 93) è legato al gruppo. Una famiglia che si spostava dal campo allo spogliatoio e che oggi guarda con un pizzico di nostalgia.
Lei nel 1993 passò proprio dal Napoli al Parma…
«Non fu una scelta facile. Non sarei andato via, ma capii che il ciclo del Napoli stava terminando. Bianchi, appena diventato direttore generale, mi disse che il momento era difficile e che la società doveva fare cassa con qualche cessione».
Che Napoli era il suo?
«Una squadra che credo non tornerà mai più. Con Maradona e Careca, inimitabili».
Ma anche il suo Parma non scherzava…
«Non per caso vincemmo la Coppa Uefa e la Supercoppa europea. Arrivammo anche secondi in campionato, e quello resta il miglior piazzamento nella storia del club. In squadra avevamo giocatori di esperienza e altri destinati a diventare campioni».
Uno su tutti, Buffon. A proposito: le fa strano vederlo ancora in campo?
«L’ho visto crescere e debuttare in serie A. Conoscendolo, fino a quando starà bene, continuerà a giocare. Forse questo davvero può essere il suo ultimo anno, ma non vuole chiudere con il cruccio di non aver vinto la Champions».
A Napoli, invece, ha giocato con Maradona…
«Ti bastava vederlo nello spogliatoio per sentirti più sicuro in campo. Diego ti trasportava e non ti faceva avere timore degli avversari».
Che impatto ebbe lei in quel Napoli?
«Venivo da Torino e la mia crescita calcistica è stata velocizzata dal contesto Napoli e da Maradona».
È vero che per caricarvi prima delle partite importanti pronunciavate il suo nome nel tunnel che porta al campo?
«Lo facevamo un po’ per caricare noi e un po’ per mettere pressione agli avversari. Ma quello non era solo il Napoli di Diego. Lo scudetto del 1990 è stato lo scudetto di tutti. Lo scudetto del gruppo. Ci furono tanti protagonisti, e tra questi mi ci metto anche io».
Ci dica di più…
«All’inizio di quella stagione Diego non c’era. Ma nonostante la sua assenza partimmo bene. La nostra forza era il gruppo. Quella forza che vedo mancare nelle squadre di oggi».
Cosa intende?
«Manca l’attaccamento alla maglia. Sono in pochi a sentirsela addosso. E allora succede che dopo un paio di partite in panchina iniziano a comparire musi lunghi e mal di pancia. Prima non era così: tutti si sentivano parte di un gruppo. Forse in Italia l’unica squadra ad aver conservato questa mentalità è la Juve. Per questo vincono sempre loro: in squadra hanno dei leader veri come Buffon, Chiellini o Bonucci».
E il Napoli?
«Con Gattuso la musica è cambiata. Ha cambiato l’andazzo nello spogliatoio ed è diventato il leader che mancava. È arrivato in un momento di grande difficoltà ed è entrato nella testa dei giocatori tirandoli fuori dai problemi che c’erano con Ancelotti. Che peccato che non sia riuscito a fare fuori il Barcellona in Champions: era una sfida alla portata del Napoli».
Parola di uno che in Europa ha vinto tre coppe: la prima con il Napoli nel 1989.
«Ho il rimpianto di aver saltato la finale di ritorno per squalifica. Ma vincere è stato bellissimo, anche perché la Coppa Uefa in quegli anni era quasi come la Champions di oggi. Trovavi squadre molto forti come Bayern o Juventus. Indimenticabile la gara in casa del Paok: non mi sono mai trovato in un ambiente così ostile, i tifosi ci tennero bloccati nello spogliatoio per un’ora».
Lei oggi è un dirigente del Renate in serie C: per quale azzurro farebbe una follia?
«Mertens lo prenderei sempre nella mia squadra».

Factory della Comunicazione

A cura di Bruno Majorano (Il Mattino)

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.