Totò Schillaci: “Maradona? «Diego era un fuoriclasse in campo e fuori»

0

Nel 2020, l’immagine del proprio profilo Whatsapp vale come bigliettino da visita, e quella di Salvatore Totò Schillaci dice praticamente tutto. È di 30 anni fa, certo, ma oggi il vintage va di moda. Nella foto c’è Totò con la maglia della Nazionale durante quel Mondiale in Italia che lunedì soffia 30 candeline, alza le braccia al cielo e festeggia uno dei suoi 6 gol. «Quella foto l’ha voluta mettere mia moglie. Perché quando si parla di Italia 90, inevitabilmente si parla di me».

Factory della Comunicazione


Dopo 30 anni cosa è cambiato?
«Praticamente nulla. Non c’è mai stato un attimo in cui la mia visibilità sia diminuita».
Il suo ricordo più bello?
«Difficile dirne uno, perché a distanza di 30 anni continuo a sognare ogni giorno quelle notti magiche».
Sembra ancora molto legato a quella canzone cantata da Bennato e Gianna Nannini, colonna sonora di Italia 90.
«Ogni volta che sento le prime note provo un brivido. Anche perché il testo sembra scritto su misura per me».
Cosa intende?
«Racconta di un bambino che sogna di diventare calciatore. Praticamente la mia storia, nato in via della Sfera 19 a Palermo: 19 era il mio numero di maglia al Mondiale e grazie alla sfera sono diventato Totò Schillaci. Con Bennato siamo diventati amici e ha anche scritto la prefazione del mio libro Il gol è tutto».
A proposito di gol, quello apripista del suo Mondiale arrivò nella prima gara degli azzurri, contro l’Austria. Ma lei partiva dalla panchina…
«In quella Nazionale ero arrivato in punta di piedi. La stampa mi aveva fortemente voluto, ma il gruppo era solido e già formato. Ricordo che al primo giorno a Coverciano il ct Vicini mi disse: ora sei qui, dimostra a tutti di aver meritato la convocazione».
E poi?
«Contro l’Austria il risultato non si sbloccava e così il ct mi disse di riscaldarmi. Ero un mix di emozione e paura di sbagliare. Poi sono entrato in campo e avevo solo voglia di sfruttare l’occasione».
Nemmeno il tempo di pensare e...
«Palla a centro area, io stacco di testa tra quei due bestioni austriaci e la butto dentro».
Quell’esultanza braccia al cielo è diventata un’icona, non sembrava nulla di preparato.
«A me piace correre ed è quello che ho fatto dopo aver visto la palla in rete. Peraltro prima di entrare, Tacconi in panchina mi aveva detto che se avessi fatto gol di testa sarei dovuto andare ad abbracciarlo. Detto, fatto».
Alla fine di quella magica estate, i suoi gol furono 6, abbastanza per diventare capocannoniere del Mondiale: il più bello?
«Quello con l’Uruguay di sinistro, tanto più che quel piede lo uso solo per camminare. È stato un gol d’istinto, da attaccante vero. Ma il più difficile è stato contro l’Eire, su ribattuta del portiere dopo un tiro di Donadoni».
Così è diventato il protagonista a sorpresa di quel Mondiale, cosa pensava in quei giorni e cosa pensa oggi?
«Per me era tutto inaspettato. Era come aver preso il sei al Superenalotto. In quel gruppo avrei accettato di fare panchina o tribuna, mai avrei pensato di giocare ed essere decisivo».
A proposito, come fu l’impatto con gruppo: qualche gelosia interna?
«Contro l’Austria presi il posto di Carnevale, feci gol e praticamente diventai io titolare. Ma tra di noi non c’è mai stato antagonismo. Eravamo compagni di camera in ritiro e il nostro era un rapporto bellissimo. Magari lui poteva essere deluso perché giocavo al posto suo, ma non se la prendeva con me».
Il suo rito prima di scendere in campo?
«Sul pullman dall’hotel allo stadio ascoltavamo le canzoni di Venditti. Io ero sempre nella parte posteriore perché davanti c’erano dirigenti e senatori della squadra. E poi io mi caricavo ascoltando la colonna sonora di Rocky: Gli occhi della tigre».
I suoi occhi sono diventati altrettanto famosi dopo quel Mondiale…
«Qualsiasi cosa toccavo in quei giorni diventava oro. Giannini ogni volta che facevo gol mi urlava Che bucio di culo».
Dall’emozione alla delusione di Italia-Argentina, la semifinale persa al San Paolo.
«Vincevamo 1-0 e avevamo la finale in pugno. L’avremmo meritata. E poi perdere un Mondiale in questo modo fa male. Avevamo impostato la partita in maniera perfetta, ma loro avevano Maradona e Maradona fa storia a sé».
Quanto fu decisivo quella sera?
«Diego era un fuoriclasse in campo e fuori. Un grande giocatore ma anche un trascinatore per i compagni».
C’è chi dice che il San Paolo facesse il tifo per l’Argentina e non per l’Italia: avevate anche voi quella sensazione?
«Innanzitutto i napoletani facevano il tifo per Maradona e non per l’Argentina. E francamente faccio fatica a dare torto. Per noi la sfortuna fu giocare proprio al San Paolo quella gara. Io adoro i napoletani e li trovo tifosi straordinari, ma devo anche dire che in campo non si percepiva la loro spinta per gli argentini. Magari giusto un po’ all’inizio, ma noi pensavamo solo a giocare».

File:Schillaci maradona.jpg - Wikimedia Commons
Dopo 30 anni che impressione ha del calcio italiano?
«Sono contento che riparta perché l’Italia e tutto il mondo sta attraversando un momento difficile. Viviamo una grandissima crisi economica e bisogna provare a rilanciarsi in ogni settore, a partire proprio dal calcio».

Bruno Majorano (Fonte: Il Mattino)

Foto Sky.it

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.