Walter Gargano: “Hamsik? Calciatore e persona davvero straordinaria. Otto anni a Napoli indimenticabili”

Gargano parla al Corriere dello Sport del genero e gli brillano gli occhi

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Gargano ha totalizzato 64 presenze in Nazionale, per vincere una Coppa America (nel 2011), per starsene 235 volte con una maglia azzurra addosso e prendersi una coppa Italia e una Supercoppa (tra il 2012 e il 2014). 

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 Otto anni d’Italia cosa hanno lasciato in Gargano?  «Ricordi che resteranno, l’affetto di amici che sento spesso ma soprattutto momenti indimenticabili come la nascita dei miei primi due bambini, venuti alla luce a Napoli, dove sono cresciuto, dove ho conosciuto gente fantastica, che ti dà affetto. Ancora oggi ho rapporti, telefonate lunghissime con ragazzi del Villaggio Coppola, con Rino e con Franco, che mi tengono informati sulla evoluzione del virus. Qui va meglio, non abbiamo mai avuto un numero clamoroso di casi, ma chiaramente si vive egualmente nella paura: c’è la famiglia di Miska in Slovacchia, c’è Marek in Cina».

Quando pronuncia il nome di suo cognato, si accende.  «Perché non è stato soltanto il più forte calciatore con il quale ho giocato ma è principalmente una persona straordinaria. In campo, sapeva sempre fare la cosa giusta, non mi pare di avergli mai visto sbagliare una interpretazione di una giocata; e fuori, Marek è meraviglioso. 
 
Gargano è stato uno dei protagonisti della rinascita del Napoli, datata 2007. «Arrivammo insieme io, Lavezzi e Hamsik ed eravamo giovanotti sconosciuti. I primi tempi, io e il Pocho ci potevamo permettere anche di andare in giro, comodamente, senza che ci riconoscessero, e qualche ragazzata l’abbiamo fatta. Poi il Napoli ci ha dato notorietà e ci siamo dovuti adeguare, con comportamenti irreprensibili».

Dicevano di lei che fosse un amabile rompiscatole. «Non mi è mai mancato il carattere. Ma ho sempre avuto rispetto per chiunque. E’ chiaro che quando hai 25 non sai quando è il caso di rinunciare all’asado, alla grigliata e a del buon vino. Ora lo so».

A Doha, dicembre 2014, torna dal dischetto, dopo aver segnato, e fa un gesto eloquente: «tengo huevos».  «Ci giocavamo la Supercoppa italiana, di fronte avevamo la Juventus, e diciamo che prima che si cominciasse con la sequenza dei cinque rigoristi, ci fu discussione. Sono cose che restano tra di noi e che sfioro soltanto, per spiegare per la prima volta l’accaduto. Io avevo giocato poco prima in Confederations contro l’Italia e Buffon me lo aveva parato. Dissi: ok, vado io, e cambio. E feci gol. E mi venne istintivo lasciarmi andare».

Il successo più bello della sua carriera, sospettiamo, la Coppa America del 2011. «Ogni vittoria ha un sapore speciale. Quello con la maglia Nazionale fu straordinario, perché in quella manifestazione c’è il richiamo della Patria, una responsabilità che senti fortissima. Ma io mi sono goduto anche la Coppa Italia del 2012, quella nella quale in finale rimasi fuori per squalifica, e la Supercoppa. Battere la Juventus, i più forti, ti riempie. E batterla con la maglia del Napoli addosso, è una sensazione particolare, che non ti abbandona mai più».

Antonio Giordano Corriere dello Sport

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