Maurizio de Giovanni presenta “Una lettera per Sara” che, come il lockdown”, ci scruta dentro

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Esce dal lockdown avventurandosi nel sottobosco dello spionaggio e della storia irrisolta del nostro Paese. E lo fa con Sara Morozzi, un’eroina che è un antieroe, come in tutte le spy story che si rispettino, sospesa tra Bene e Male, incapace di mentire, pervasa d’amore e fedele alla ragione, con il dono dell’invisibilità e il superpotere di saper leggere l’animo umano dalle labbra. Da Le Carré, Maurizio de UNA LETTERA PER SARA | Circolo dei lettori TorinoGiovanni mutua l’attenzione alla complessità esistenziale e una scrittura frammentata, efficacissima anche senza ricorrere al sensazionalismo, per il suo ultimo libro Una lettera per Sara (pagine 336, euro 19), terzo di una saga iniziata due anni fa con Sara al tramonto (2018) e Le parole di Sara (2019) per Nero Rizzoli, tra i libri più venduti della collana e già destinati a essere una serie tv prodotta da Carlo Degli Esposti.
Il romanzo, tra tutti, è il più «nero» di de Giovanni che con le dovute differenze tra serie molto distanti tra loro sembra tornare alle origini dei Bastardi, con la stessa perfezione narrativa che caratterizzò Il metodo del coccodrillo, thriller con cui vinse lo Scerbanenco nel 2012. Sara qui fa i conti con il passato, non solo con la storia recente e poco glorificante di un’Italia corrotta ma con quella sua personale. La morte di un detenuto e un’ultima richiesta di colloquio fa riaffiorare la vicenda di una ragazza ammazzata trent’anni prima. Che pare coinvolga Massimiliano: l’ex capo all’agenzia di spionaggio e l’uomo che le aveva fatto rinunciare a tutto, persino a un figlio piccolo, per seguirlo, le aveva mentito? Sara lo scoprirà andando a indagare in un caso dimenticato, e con lei la piccola famiglia di investigatori fai-da-te che la circonda: l’ultima compagna di suo figlio e la mamma dell’unico nipotino, la fotoreporter Viola, e l’ispettore Pardo affezionatissimo a lei e al bambino, che deve essere tirato su dall’insicurezza e dall’insolenza. E poi un nuovo personaggio, Manuel.
De Giovanni, a partire dalla dedica a Graziella Campagna, il libro è diverso dagli altri: è il suo primo romanzo ispirato a una storia vera?
«Sì, anche se per Sara vado sempre alla ricerca di storie irrisolte del nostro Paese avvenute tra gli anni ’80 e ’90, quella di Graziella Campagna è emblematica: una ragazza siciliana di 17 anni che lavorava in una lavanderia, morta ammazzata nell’85 solo per aver avuto la sfortuna di scoprire un fogliettino nei pantaloni del figlio di un boss. Con lei e con il personaggio di Ada cui si ispira, la studentessa impiegata in una grande città in una libreria antiquaria, voglio raccontare la casualità del male e un Paese corrotto nelle sue istituzioni fondamentali. Il libro è idealmente dedicato alla memoria di tutte le vittime collaterali, quelle che si trovano nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Non solo innocenti ma uccise per un caso».
Con Sara rinuncia a certo glamour dei suoi personaggi femminili, ma non all’amore come motore dell’azione. «Nelle mie storie l’amore resta centrale anche se Sara è un personaggio diverso da tutti e la sua è una storia profondamente nera. Non è una detective ma una giustiziera, una che indaga sul passato recente di questo Paese degli ultimi 20-30 anni, cercando di mettere a posto le cose che anche al di là delle convenzioni degli uomini, inseguendo un ideale di giustizia e non di legge. Di fatto è più un giudice istruttore e un boia che una poliziotta o un’investigatrice. È più una criminale». 
Come Manuel, il giovane borseggiatore che dà una mano alle indagini. Lo rivedremo, insieme con gli altri eroi «sbagliati»? «Sì anche perché il manicheismo tra Bene e Male non appartiene alla narrativa nera, sono tutti antieroi, anche i Bastardi di Pizzofalcone. Manuel è un ventenne con straordinarie capacità di borseggiatore e mi piaceva mettere un’abilità illegale al favore della realizzazione di un obiettivo di giustizia. È un personaggio che vedremo ancora. E poi ho scoperto molte cose di Pardo, che prima faceva la macchietta come Aragona nei Bastardi e invece qui ha una sua personalità che lo impone di più».
A oltre un anno dall’ultimo Ricciardi, possiamo dire che Sara è la sua erede? «Sara è la sua logica conseguenza, è un’evoluzione di quello che sarebbe lui se fosse vissuto oggi. Anche lei ha una sorta di condanna che poi è un superpotere: capisce la verità guardando la gente, vede la realtà per com’è senza abbellimenti. Per non venire a patti con la sua natura di non cedere alla menzogna ha vissuto male, perché ha lasciato il marito e il figlio piccolo, è andata a vivere con un altro uomo, di cui ha affrontato anche la doppiezza che nel romanzo viene a galla». 
Un libro scritto prima del lockdown che racconta molto di solitudine e isolamento. «Sara ha un forte aggancio con la contemporaneità, nel libro ha a che fare con malattia e ospedali oltre che con personaggi corrotti. Questo periodo anomalo ci ha costretto a vedere la vera natura di certi rapporti interpersonali ma anche a guardarci dentro e a metterci in contatto con noi stessi. Penso che tutti possano immedesimarsi con un personaggio come Sara che non si trucca, non si tinge i capelli, non si traveste. È se stessa, senza infingimenti».
Prima presentazione, virtuale, di Una lettera per Sara oggi, alle 18, in diretta dalla libreria napoletana Iocisto sul sito del fan club dello scrittore. Oltre alle 2.000 autografate a casa, ieri l’autore ha firmate alcune copie «in segreto» in diverse librerie partenopee.

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Fonte: Il Mattino

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