Luigi De Laurentiis: “Non essere tifosi è un punto di forza, mantieni la lucidità”

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Lui e il padre vanno d’accordo e lavorano in sintonia. Luigi De Laurentiis ha studiato, viaggiato, poi è entrato nell’ azienda di famiglia.A diciotto anni è andato a Los Angeles per studiare arti e scienze umanistiche nella stessa università di George Lucas e Robert Zemeckis. Libri lunghi e pedalare. Alla Filmauro ha prodotto un bel po’ di cinema, il padre Aurelio lo ha messo a curare il marketing e il marchio del Napoli. Se lo ritrovano a Bari, dove sta simpatico a molti e comunque ha il vantaggio di partire da una posizione privilegiata, quella del salvatore della squadra. 

Factory della Comunicazione

 Luigi De Laurentiis, com’è accaduto? «Il sindaco Decaro ha chiamato improvvisamente mio padre, mio padre ha chiamato me. Un bel trenino. La città è importante e noi da un po’ cercavamo un’altra squadra da acquisire. Ai primi dell’agosto 2018 mi sono ritrovato con il lavoro che mi esplodeva tra le mani. C’era da mettere in piedi una squadra intera, in poche settimane. Per fortuna l’inizio del campionato è slittato. Allo stadio abbiamo dovuto portare gli asciugamani, le panchine nuove. E assicurarci che le docce funzionassero».
 
Perché è toccato a lei? «Perché lavoro in azienda da quindici anni e mi sono trovato sempre in sintonia con mio padre. Da piccolo ascoltavo la gente ridere durante i film prodotti da lui e da mio nonno e ne ero orgoglioso. Marchio e merchandising sono sempre stati le mie passioni. Il lato tecnico-sportivo francamente m’interessava meno. In famiglia fino al 2004, quando mio padre prese il Napoli, il calcio non si guardava neppure». 

Avere due squadre in famiglia ha senso? «Certo, perché si moltiplicano le opportunità di sviluppo e si può rendere più virtuosa la gestione. Il calcio è intrattenimento, si paga il biglietto come al cinema. Non essere tifosi di calcio è stato un punto di forza. Si mantiene la testa fredda nel prendere decisioni. Fare debiti non è mai stato nella cultura della mia famiglia». 

E la passione che fine fa? «Quella dopo quindici anni viene per forza. A me al Bari ne è bastato uno. Ho vissuto l’inizio difficile di questa stagione con un’intensità che nel campionato precedente non avevo mai avvertito. Sarà perché siamo stati sempre in testa. Ora è tutto un altro stress e la Serie C è molto più complicata». 

Però non arriva al punto di starci male. «Il gol di Koulibaly alla Juventus non lo dimenticherò mai. Saltammo dalle poltrone come se l’Italia avesse vinto il Mondiale». 
 
Si può fare azienda con il calcio? «Un turno di Champions vale un dato economico significativo all’interno di un bilancio. Una singola partita vale milioni di euro. Quindi sì, cerchiamo di non pensarci ma un pallone dentro o fuori sposta parecchio». 

Il Bari ha una road map per la Serie A? «Diciamo un percorso che ci auguriamo sia da ricordare. Stiamo costruendo e il Bari è un brand. C’è l’immagine e c’è il successo sportivo, ma anche i tifosi chiedono che il club abbia la prima oltre che il secondo. Intanto creiamo valore sul territorio, con le academy che raccolgono 2.400 bambini, con 22 scuole calcio affiliate. Stiamo migliorando tutte le aree della società, pian piano rimetteremo in sesto lo stadio insieme con il Comune. E il Bari apparirà come deve apparire». 

E qualche sinergia con il cinema? «Al Napoli lo abbiamo fatto, con gli attori di Gomorra, con The young Pope. La chiave è la creatività. Con il Bari andremo a recuperare celebrità e le leggende rimaste nel cuore dei tifosi. La Formula 1 a Montecarlo diventa una specie di notte degli Oscar. Nel calcio siamo un po’ indietro, però miglioriamo». 

La sua squadra si chiama Bari, l’anima è qui, ma siamo sicuri che cuore e muscoli non siano a Napoli? «Allora se una grande azienda ne compra una più piccola sostituisce cuore e muscoli? Magari si potesse. Invece ciò che viene trasferito è l’esperienza. Principi che hanno funzionato applicati su una nuova piazza. Non può che essere un progresso, specialmente se la nuova piazza è bella e reattiva come Bari».
 
E De Laurentiis padre interviene? «Non ce ne sarebbe stato neppure motivo, visti i risultati dei primi mesi. Quest’anno sarà più dura. E’ stata una sofferenza per lui dover esonerare l’allenatore. Di sicuro ci confrontiamo. Siamo abituati a lavorare in coppia. Luigi e Aurelio De Laurentiis presentano».

Fonte: CdS

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