Andrè Cruz a 360 gradi: “Dietro ad un pallone non costruisci il futuro”

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A metà degli anni ’90 a Napoli arrivò un ragazzone brasiliano: difensore dai piedi delicati, e dal sinistro praticamente infallibile quando si trattava di calci piazzati. Questi gli ingredienti che hanno fatto di Andrè Cruz uno dei giocatori più amati di quel Napoli e di quegli anni.
Oggi di cosa si occupa?
«Diciamo che ho un doppio lavoro: il primo è quello di marito e papà. Cerco di stare il più possibile con la mia famiglia: ho due bimbe».
E il secondo?
«Faccio il procuratore di alcuni ragazzi in Brasile e poi faccio anche l’intermediario per curare trattative in Cina, Giappone e Portogallo».
Il primo consiglio ai suoi ragazzi?
«Studiare, studiare e studiare».
Perché?
«Con gli anni ho capito che aver fatto il calciatore è stata la mia fortuna. Francamente non so come sarebbe stata la mia vita senza il calcio. Soprattutto oggi. Dico ai giovani che la carriera di calciatore è spesso breve e in Brasile anche poco remunerativa. Sono pochissimi i club che ti permettono di avere uno stipendio sufficiente per vivere anche dopo aver lasciato il professionismo. Solo studiando questi ragazzi possono sperare di avere un futuro nella società che li circonda».
Lei come si è avvicinato al calcio?
«Naturalmente. Ho iniziato a giocare fin da piccolo anche perché in Brasile il calcio è lo sport numero 1 anche se allora non c’era la visibilità di oggi. E poi sai com’è: quando vedono che hai delle qualità, ti spingono a insistere».
Lei ha sempre sempre voluto fare il difensore?
«In realtà ho iniziato da attaccante esterno. Poi, siccome correvo tanto, mi hanno messo a centrocampo nel classico ruolo da numero 10. Un giorno, infine, mancava un difensore e mi hanno provato lì. Andò bene e non mi hanno più spostato. Per fortuna avevo una buona tecnica e quindi anche come difensore ho sempre avuto la possibilità di uscire bene palla al piede e segnare tanti gol. Perché poi, diciamoci la verità, la gente si ricorda di te per quelli».

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La sua specialità erano i calci di punizione: ci sveli il suo segreto.
«La prima cosa che ci vuole è la tecnica, e quello non è certo un segreto. Poi, ovviamente, ci vuole tanto allenamento. Io, ad esempio, mi fermavo sul campo tanto tempo dopo gli allenamenti con la squadra. Il mio modello era Zico. Per calciare bene le punizioni ci vuole tanta concentrazione. Perché sai che durante la partita potresti avere anche una sola occasione da fermo e devi sfruttarla al meglio». 
Recentemente è stato a Ischia: come mai?
«Sono legatissimo a Napoli e a questa terra che ha per me dei ricordi unici. Poi a Ischia ho degli amici che hanno casa e quando giocavo andavo molto spesso da loro. In questo periodo c’è stato un evento con un club di tifosi e sono ritornato con piacere».
E invece che ricordi la legano a Napoli?
«Napoli è una città particolare, bellissima. Mi ha sempre impressionato il traffico. Scherzi a parte: il clima è unico e poi il popolo napoletano è meraviglioso, molto simile a quello brasiliano. Napoli è una città che mi ha sempre affascinato per la sua storia e mi è sempre piaciuto visitarla. Ogni volta che torno noto che ci sono dei cambiamenti e a me piace sempre molto».
E che ricordi ha della squadra?
«Beh, la nostra società non aveva certo i soldi di quella attuale. E anche noi giocatori non avevamo gli stessi stipendi, ma eravamo ugualmente una buona squadra. Il nostro unico problema era quello della rosa un po’ corta: se qualcuno si faceva male andavamo in difficoltà. Nonostante tutto, però, abbiamo fatto dei buoni campionati e io ho lasciato dei bei ricordi. Soprattutto per i gol che facevo su punizioni. Sono stati tre anni indimenticabili».
A proposito di ricordi: il più bello?
«L’ambiente sereno in campo e fuori. Ci facevamo delle bellissime mangiate al ristorante con gli amici. E poi anche le uscite in centro per la città. Tutto mi è rimasto dentro ed è per questo che mi fa sempre piacere tornare a Napoli. Mi è rimasta nel cuore». 
E il ricordo più brutto?
«Forse l’ultimo anno. Perché avevo male all’adduttore e la squadra andava così così. Pur di giocare ero sempre sotto infiltrazioni e antinfiammatori. Speravo mi togliessero il dolore, ma non c’era verso. Arrivammo anche in finale di Coppa Italia contro il Vicenza, ma nella gara di ritorno non riuscii a giocare perché non stavo bene».
Rimpianti?
«Mi sarebbe piaciuto vincere con il Napoli».
Oggi è ancora in contatto con qualche ex compagno?
«Con Pecchia ci siamo visti due anni fa quando allenava il Verona: sono andato a trovarlo e abbiamo parlato tanto. Sono rimasto in contatto anche con Milanese, Tarantino e Altomare. Recentemente sono stato alla Juve da Filippo Fusco e lì ho ritrovato anche Baldini. In Brasile mi sento con Beto e Caio».

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