A. Silenzi: “Quando giochi con Maradona non realizzi ciò che è, poi, dopo…”

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Era il “pennellone” ed aveva i capelli lunghi. Come adesso. Anche se non più nerissimi. Andrea Silenzi, ex attaccante del Napoli. Sua soprattutto una partita, la partita. Due gol in Supercoppa contro la Juventus (vinta dal Napoli 5-1 nel 1990), roba da non dormire la notte. Oggi per lui il calcio è un ricordo, fa l’imprenditore edile ed il papà. 
Insomma, ha cambiato vita? «Praticamente sì. Ho iniziato a fare l’imprenditore nel campo dell’edilizia. Ho una impresa di costruzioni a Roma».
Ha fatto tutto da solo? «Assolutamente sì. Ho iniziato da zero nella più totale autonomia».
Ha fatto degli studi particolari? «In realtà mi sono limitato a prendere il diploma».
E poi? «Tanta voglia e qualche amico che è nel campo che mi ha dato una mano. Praticamente mi sono fatto da solo. Ho rischiato e mi è andata bene».
Come mai ha scelto Roma per iniziare la sua attività? «Le famiglie mie e di mia moglie erano già qui ed è stata una scelta per stare vicino a loro».
Ma non solo. «Si è trattato anche di una scelta per i figli visto che Roma ti offre qualcosa in più». 
Ci dica di più di loro. «Ho un maschio e una femmina. Christian gioca a calcio».
Ha preso dal papà? «Anche lui gioca in attacco, ma siamo diversi».
In che senso? «Lui è più tecnico e veloce: è il classico attaccante moderno».
E segue i suoi consigli? «Io cerco di essere il meno invasivo possibile. E poi per i figli quello che dice il papà ha una valenza minore. Però io qualcosa provo a fargliela capire perché certe dinamiche nel calcio le conosco: anche se cambiano fisicità e intensità non cambiano quelle».
Ma lei con il calcio non ha più nulla a che fare? «Da quando ho smesso di giocare sono uscito da quel mondo. Il lavoro più bello è quello del calciatore, a me piaceva essere protagonista in campo con il pallone tra i piedi. Una volta fuori non ho trovato alcuna attività che mi desse le stesse emozioni. Non seguo neppure tantissimo il calcio in tv e non sono molto ferrato su tante cose. Al massimo mi vedo i gol». 
Perché lo spirito da attaccante non è passato. E allora chi è il Silenzi di oggi? «Impossibile dirlo perché sono cambiati troppo i tempi. Noi eravamo più fortunati perché non ci richiedevano tantissimo lavoro senza palla. Noi attaccanti dovevamo essere pronti in fase di possesso. Ora vedo attaccanti che fanno 40-50 metri di scatto».
Ma sono cambiati anche i difensori. «Una volta c’erano i difensori veri, ora si vedono tanti calciatori in quel ruolo che fanno errori impensabili ai nostri tempi. Quello che mi marcava me lo trovavo sotto la maglietta».
Tipo? «Baresi, Vierchowod, ma anche Ferrara e Baroni, che sono stati miei compagni al Napoli, oppure Pasquale Bruno e Gregucci: quelli sì che erano difensori veri. E poi erano tanti, ogni domenica avevo qualcuno tosto da affrontare. Anche Ancelotti, che era mediano, si faceva sentire a centrocampo». 
Passiamo ai compagni: con chi ha avuto la migliore intesa? «Maradona non vale, vero? Scherzi a parte, Diego non può fare classifica, a allora voglio citare Benny Carbone con il quale al Torino mi sono trovato benissimo. Ma anche con Aguilera andavo molto d’accordo in campo».
Veniamo a Napoli e a quella storica partita contro la Juventus. «Il primo ricordo è quello della folla oceanica che faceva il tifo per noi. Fu bello dare loro quella grande soddisfazione. E quel ricordo lo porto sempre nel cuore anche perché si tratta di una cosa vissuta con i miei compagni».
Aveva legato molto con loro? «All’epoca era scapolo e legavo molto con i single del momento: si cenava insieme. Soprattutto si stava a cena a casa, perché Napoli ti coinvolge e se vuoi stare un po’ tranquillo è meglio stare un po’ in disparte».
Che spogliatoio ha trovato a Napoli? «Molto unito. Il gruppo era simpatico e divertente. Eravamo molto legati tra noi e si stava parecchio insieme».
E Maradona? «Quando ci giochi insieme non ti rendi conto a pieno di quello che è. Poi dopo a distanza di tempo apprezzi ancora di più l’esperienza. Era un giocatore unico». 
Con chi è rimasto in contatto? «Sento Alemao, qualche volta Crippa. Ho rivisto Ferrara al corso per allenatori». 
Quindi il corso da allenatore l’ha fatto? «Per cultura personale, non avevo mire di quel tipo lì. Qualche anno fa guidavo il settore giovanile della Cisco Roma, per amicizia».
Quella notte contro la Juventus restò la più bella con la maglia del Napoli. «Mi sono rilanciato al Torino, ho sfiorato i Mondiali del 94, ma a Napoli non si è visto il vero Silenzi. Peccato. Ma ho conosciuto bellissime persone, si rideva sempre». 
Ma le dava fastidio il soprannome Pennellone? «Ma no. All’epoca ero uno dei più alti, ora non sarebbe così. Me lo diedero a Reggio Emilia. Un po’ i compagni e un po’ i tifosi».
Lei è stato il primo italiano ad andare a giocare in Inghilterra, che ricordi ha? «Sono stato subito attratto da quella sfida anche se non è andata molto bene. Il Nottingham era una società blasonata, ma dopo 15 anni in serie A calarti in contesto che all’epoca era molto indietro calcisticamente rispetto a noi non è stato facile. Resta un’esperienza dalla quale ho imparato molto. Ero lì con mia moglie e ci siamo trovati benissimo».

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Fonte: IL Mattino

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