Bimbo-attore in «Io speriamo che me la cavo», ora vende cornetti a Torino: «La fantasia ci salverà»

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Qualcuno lo riconosce, anche se a 34 anni ha qualche capello bianco: resta sempre Nicola, il bimbo-simbolo di «Io Speriamo che me la cavo», film cult della Wertmüller. Mario Bianco da Qualiano (Napoli) ha smesso di recitare e trovato fortuna al Nord: ora gestisce quattro cornetterie nel cuore di Torino. Lui, Nicola, ’o chiattone, quello che il maestro, Paolo Villaggio, voleva far dimagrire.

Allora, Mario, come è finito qua, nella città della Juve? «Come? Col treno… Una decina di anni fa ho seguito papà, direttore di una catena di ristoranti. E all’inizio la città era un po’ ostile. Col tempo abbiamo fatto pace e ora è amore: Torino è a misura d’uomo, non la cambierei con niente, neanche con Napoli».

Le ha insegnato qualcosa questa città? «Sì, mi ha dato equilibrio. Mi ha insegnato a conoscere la gente. Sa che io riconosco alla vista i tifosi del Toro da quelli della Juve? I bianconeri sono più sofisticati. Ma la loro società, la loro organizzazione, la invidio».

In questa settimana è dura lavorare qua? «Durissima. Nelle mie cornetterie si parla solo di calcio, del Napoli, e ogni tanto si vede pure qualche giocatore del Toro: ad esempio, veniva Immobile con la moglie. Di solito, se la Juve perde, “fatichiamo” di meno. Ma chi se ne frega: stessero tutti a digiuno per una domenica. Sento molto l’ansia, ma comunque vada per noi napoletani è Cuofane saglie e Cuofane scenne».

Prego? «Cofano sale e cofano scende… Seguiamo l’andamento, siamo canne al vento. Alla fine ci va bene tutto, sopravviviamo alle sconfitte della vita. Cosa ci insegna “Io Speriamo che me la cavo?” Che la fantasia alla fine ci salverà».

Come vede la banda di Sarri? «Si sono arrangiati, come facevamo nel film. Hanno trovato un modo per tirare avanti e sono, siamo, felici. Però hanno perso la nostra innocenza, un po’ di spontaneità che aiuta a godersi la vita: l’ossessione dello scudetto, come quella della Champions per la Juve, non aiuta a sognare».

Qualche azzurro le ricorda i suoi compagni di merende? «Insigne sarebbe stato Vincenzino, il ricciolino che risponde a tono al maestro e fa il barista: furbo, veloce, reattivo. Hamsik potrebbe essere Totò, il palo del contrabbandiere di sigarette: aggregante, un leader. Villaggio ricorda davvero Sarri: insegna la vita che è simile al calcio, spiega come essere squadra. Quando andrà via, lo rimpiangeremo: magari lo inseguiremo con gli occhi gonfi alla stazione come i bimbi del film inseguivano il maestro».

E De Laurentiis? «Era il 1995, sul set di un altro film. Massimo Boldi si avvicina a me, piccolo tifoso del Napoli, e mi dice: “Quello sarà il tuo presidente”. Era il nostro produttore, Aurelio: aveva in testa di prendersi la squadra, per lui è business e non passione».

In campo cosa invidia alla Juve? «Chiellini. E poi Buffon sta ‘nto core mio, così grande che può giocare all’infinito. Lui non ha colori: in questo momento difficile venga qui a farsi offrire un cornetto, lo addolcirà. Certo, se poi il Napoli vince lo scudetto, i cornetti diventano gratis per tutti, mentre sono in giro per Torino con il mio furgone tutto colorato di azzurro». 

Pure a Higuain lo offrirebbe? «Il Pipita me lo sogno spesso. Io sono in macchina, lui chiede un passaggio e io glielo do. Quando stiamo per entrare nel locale, mi giro e dietro non c’è più. E’ scappato. Significherà qualcosa? Se voleva vincere, ha fatto bene. Se invece vuole mangiare, e sappiamo che gli piace, ho il cornetto giusto: brioche napoletana con impasto al cacao e crema chantilly per creare il bianco e il nero. Sopra, il numero 71 che nella smorfia significa Omme e me».

Alla fine del film Villaggio in treno legge un tema di un suo allievo. Ne scriva lei uno per un giocatore verso lo Stadium«Caro Lorenzo Insigne, entra in quello stadio a testa alta. È bello, anche se non ci sono mai stato perché a quell’ora “fatico”. Non spaventarti della luce. Sei forte e hai una città dietro. Ripeti a te stesso: “Io speriamo che me la cavo…”».

Gazzetta dello Sport

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