De Laurentiis all’Antimafia: «Abbiamo sempre denunciato i colpevoli; la nostra tifoseria è la più educata»

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«Ma lo Stato dov’è?»: è la domanda che, inquietante, insegue spontanea il silenzio di Palazzo San Macuto, nei sessantasette minuti in cui Aurelio De Laurentiis – e con lui Andrea Chiavelli, il consigliere delegato, e Giuseppe Staiano, il legale – dialoga con la Commissione
Parlamentare Antimafia, spiegando cosa sia il “suo” Napoli e che cosa faccia per scongiurare pericoli sempre vivi in un’area a rischio. «In quest’Italia dei compromessi, bisognerebbe adottare il metodo Thatcher, cambiare leggi antiche come la 91 – mai aggiornata e in alcuni casi divenute moderne solo grazie a un signore, Walter Veltroni, che trasformò i club in società a scopo di lucro». C’era lo Stato all’Olimpico, con le sue cariche più alte, il 3 maggio del 2014, quando prima di Napoli-Fiorentina Genny “‘a carogna” salì sul recinto di una delle due curve, tenendo per ostaggio uno stadio: «Non siamo stati noi ad andarci a parlare, fu la questura ad accompagnare Hamsik» in quella che, per Rosy Bindi, presidente della commissione, fu una «scelta saggia». E ancora, l’avvocato Staiano: «Il Napoli fa prevenzione, adottando qualsiasi forma di cautela: Pecoraro, il latitante – tale ancora non era quando fu poi scoperto che si trovava a bordo campo – venne inserito in un elenco di una ditta che fa giardinaggio allo stadio e che la società chiede 72 ore prima delle partite». De Laurentiis aggiunge: «Abbiamo sempre denunciato i colpevoli; la nostra tifoseria è la più educata». E’ un’altra storia, questa, rispetto a quella recente della Juventus, a cui fa riferimento la Bindi e che De Laurentiis smonta: «Mi sembra sia il caso di fare un distinguo, se permette. E non sono io a dover decidere chi possa andare allo stadio e chi no: il problema, semmai è legislativo». E Chiavelli, sui metodi di pagamento per calciatori stranieri: «Non c’è mai uso di danaro contante, soltanto pagamento attraverso transazioni tracciabili».

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Fonte: CdS

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