Ciccio Marolda: “Ripartire  per fare meglio”

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Lo scrive sulle pagine del CdS:

Factory della Comunicazione

“Emozioni? Eccome. Poco, pochissimo è mancato che a Roma ci scappasse l’incredibile sorpresa nel giorno dei saluti al campionato. Ma in fondo lo sapeva il Napoli che non sarebbe cambiato proprio niente. Lo sapeva che alla fine la Roma l’avrebbe sopravanzato di quel punto pesante e maledetto e che nel suo destino c’erano da tempo gli scivolosi preliminari della Champions. Già, ma ormai è fatta. E non vale manco più la pena consumarsi tra rimpianti e pentimenti. E’ andata come è andata: nessun successo ma tanti complimenti, nessun trofeo ma un mare di elogi e buoni apprezzamenti. D’accordo, chi vuole ha il diritto di non sentirsi felice e neppure soddisfatto, ma sarebbe un sacrilegio dire che col terzo posto la stagione azzurra è stata un fallimento. Perché non è così. Perché sarebbe ingiusto. Perché sarebbe falso. E perché in coda a stagioni come queste dopo aver riconosciuto i propri peccati e dopo essersi battuti il petto per tre volte, l’unica cosa da fare è tenersi caro tutto il buono che c’è stato e ripartire da questo per far meglio. E ormai è cosa dichiarata che in casa Napoli “far meglio” ora vuol dire una cosa e basta: provare a riportare a casa lo scudetto. Provarci. Certo, poi riuscirci è un’altra storia, però provarci ora è un dovere. Con convinzione. Ed è proprio questa convinzione la grande eredità di quest’ultima stagione: grazie al suo gioco da bacheca; grazie ai suoi record da campione, ma anche grazie a una maturità da grande che prima non aveva. Tant’è che il Napoli è convinto che la prossima stagione potrebbe essere davvero quella giusta. Che, badate, non è chiacchiera da bar né fantasia da innamorati persi dell’azzurro. Nient’affatto. A sdoganare lo scudetto – la parola, il pensiero, il desiderio – è stato il presidente con il conforto immediato di nomi di sicura “conseguenza” come Insigne, Hamsik, Callejon e quel giovanotto che a trent’anni ha cambiato vita ed è diventato bomber vero. E il signor Sarri? In verità lui non s’è mai pronunciato tanto apertamente. Non s’è indebitato con i sentimenti della gente. Ma che l’abbia fatto oppure no non cambia molto perché in un certo senso presidente e squadra l’hanno messo con le spalle al muro. Se sposa la promessa, infatti, va probabilmente contro il suo voto di prudenza, mentre se se ne dissocia diventa l’unico negazionista di quella che per tutti è invece una legittima speranza. E allora? E allora non resta da aspettare che ognuno faccia la sua parte per trasformare la crescita corrente in crescita vincente di qui a un anno. Tutti. E cioè, che nel campionato che verrà la squadra mostri la stessa applicazione, lo stesso sacrificio e ancora quel ricamo ammaliatore di amici e d’avversari; che la sua parte continui a farla don Aurelio aggiungendo a rinnovi importanti due o tre ingaggi di rara qualità; che la sua parte non smetta di farla il signor Sarri. Magari piegando qualche volta il suo integralismo a quel bene comune che si chiama tricolore”. 

 

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