Repubblica – “Non lasciamo più Muntari da solo”

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M ultare Muntari, così impara a protestare e a chiedere giustizia a un arbitro senza coraggio e con poca coscienza del suo ruolo. I nostri stadi ci hanno abituato alla solitudine del toro e alle simpatie per i picadores. Cagliari non è purtroppo nuova a episodi di razzismo (Tagliavento sospese la partita con l’Inter per cori contro Eto’o) né di violenza sui tifosi ospiti né di indebita pressione sugli stessi giocatori del Cagliari. I presidenti, Cellino prima Giulini poi, zero assoluto quanto a iniziative che arginassero il potere della curva. Le tre scimmiette sulla scrivania, così non si sbaglia. In verità, Cellino aveva parlato per dire che Cagliari non è una città razzista. D’accordo: è una città, come tante altre, dove un certo numero di razzisti frequenta lo stadio e fa quello che gli pare. Anche perché alle società non piace pagare multe o vedersi squalificato un pezzo di stadio o tutto quanto. Per complicare e annacquare le sentenze del Giudice sportivo si è ammorbidita la severità delle norme precedenti, ormai la giusta stangata è quasi impossibile e manca nel calcio la volontà di un’azione comune. Sola eccezione Lotito, che dev’essere una via di mezzo tra Nembo Kid e Batman. Oppure non dev’essere così difficile fare pulizia, volendo. Pulizia perché il razzismo non è solo stupido, ma sporca lo sport, l’immagine di una città, l’idea di un gioco che dev’essere anche una festa e, ancora, l’idea di una convivenza civile. Gli stadi non sono chiese, diceva Franco Carraro. Sì, ma nemmeno devono essere fogne o discariche a cielo aperto. Su Sky avrete sentito Muntari. Alla fine del primo tempo è andato da dove partiva un coretto (padre, madre e figlio) e ha regalato la sua maglia al bambino. Nel secondo è andato a gridare “bravi” a un gruppo più folto che faceva il verso della scimmia, per dimostrare di non aver paura. L’arbitro lo ha richiamato perché non si deve parlare col pubblico, ed è forse l’unica cosa su cui aveva ragione.

Fonte: Reppubblica

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