L’emozione di Madrid – di G. Calabrese: “Ve lo racconto io il significato del Napoli al Bernabeu…”

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Bruxelles, Monaco, Londra, Istanbul, l’invasione inizia dagli aeroporti. Imbarchi e scali continui da tutte le direzioni, in giro per mezza Europa pur di esserci, non per andare a vedere come finirà la storia, ma per viverla. Li riconosci subito, da una sciarpa, un drappo o semplicemente dagli occhi: quelli dei sognatori. Maradona, Real Madrid-NapoliHanno lasciato le cucine ed i pub inglesi per due giorni interi, quei dieci ragazzi bruni e sorridenti con il solo peso di uno zainetto sulle spalle e la smania di sentire parlare di nuovo napoletano, loro che l’inglese l’hanno dovuto imparare per forza; hanno scelto di trascorrere lì il loro San Valentino, quelle coppie che condividono passione e cuore, si sono trasferite in altre parti d’Italia, il loro accento a tratti è diverso, ma sono qui. Tutti, tutti insieme. Il professionista affermato con signora, l’attore famoso ultrà di curva, la famiglia intera che si è presa una vacanza, l’ operaio che per essere qui, forse, un pizzico di vacanza se l’è giocato. Hanno colorato Madrid di azzurro, l’hanno portata in piazza e sui balconi con i loro cori, ne hanno riempito le strade e le vie. Si guardavano intorno e non credevano essi stessi ai propri occhi: c’erano tutti, erano lì. E gli spagnoli sorridevano e le sciarpe di diversi colori si mescolavano senza paure nella lunga, lunghissima, processione verso il Santiago Bernabeu. santiago-bernabeu-stadium-1920x1080Perchè il Napoli, il Napoli di tutta quella gente, di quell’ unico popolo giocava lì, nel tempio del calcio. Migliaia di cuori azzurri in quel ventre blancos, disseminati a macchia di leopardo per tutto l’impianto. Sapevano che c’era il rischio che non li facessero entrare. Hanno rischiato, ho rischiato. Eravamo lì, con il Napoli, perchè non si lascia solo chi si ama, soprattutto quando deve fare qualcosa di importante, qualcosa di prestigioso, qualcosa di storico. E quando l’urlo “the Champions” mischia il partenopeo allo spagnolo, tutti, proprio tutti, sentono un brivido lungo la schiena, anche i tifosi della squadra di club più forte del mondo. E come d’incanto il match inizia e lo vivi, lo respiri, lo senti. Senti che sei lì per un motivo, senti che un senso c’è a tutto quell’ amore. Ed esplodi. Come forse mai prima di allora, con il cuore che ti schizza fuori dal petto, con il compagno di stadio che neanche conosci che ti abbraccia e piange con te, con gli occhi lucidi, con la voce che non senti più perchè non ce l’hai più, perchè non la riconosci più. InsigneEd è un piccolo, commovente figlio della tua stessa terra a a darti quell’ emozione, a farti vivere quell’ attimo di storia, a farti sentire in pace con il mondo, soddisfatta di esserci al mondo. E lo vedi schizzare come un furetto, impazzito ed ebbro di gioia come te, alla ricerca di un abbraccio virtuale con te, che viene a dirti “io, sono stato io, questa gioia te l’ho data io, questa pagina spetta a me“. Non te ne importa più niente, di come finirà, di quel che accadrà dopo, perchè lui ha reso fulgido il tuo sogno, lui ha permesso alla tua voglia di esserci di avere il senso che speravi, il senso che volevi, il senso giusto. Grazie, piccolo scugnizzo azzurro. Grazie per quell’ emozione che ti concilia, ti unisce, ti fa stare a braccetto con la storia e la rende viva. Grazie da parte di tutti quei cuori azzurri a cui faceva paura quel miedo escenico che tu non hai sentito, ma che non hanno esitato ad esserci, a crederci. Chi vi scrive ne avesse sentito uno, uno solo lamentarsi per l’esborso economico, la stanchezza dei viaggi, il risultato. Perchè, quando la magia di un posto fatato si concentra in un altro luogo del globo, accompagnata dai suoi rappresentanti e dai suoi testimoni, il filtro d’amore ritorna perfetto e l’aura che si espande ha un solo colore, l’unico possibile, l’azzurro. A Madrid, mentre i padroni di casa, in campo e fuori, guardavano quel popolo impazzire di gioia, qualcuno di loro o forse qualcuno di più, avrà capito senz’altro che non potrà mai essere solo pallone. A quel qualcuno che dopo tanto tempo non lo ha ancora capito, chiediamo una volta tanto di provare ad emozionarsi, di lasciare la scena ed il proscenio, perchè in occasioni del genere, in momenti come questo…‘e chiacchiere stann’ ‘a zero!

Factory della Comunicazione

a cura di Gabriella Calabrese

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