Nonostante lui sia “El Diego”, non può dribblare la mafia del calcio da solo!

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C’era una volta l’Argentina numero uno del ranking mondiale. Adesso nazionale e federazione sono nel caos assoluto. Scandali a ripetizione, violenza e morte negli stadi, una corruzione solida e ben ramificata, il flusso generazionale di talenti emergenti che si è arrestato all’improvviso. «Ci sono in bacheca due mondiali da difendere ma soprattutto una storia, quello che sta accadendo è una vergogna»: si è sfogato Maradona, mai tenero con i vertici dirigenziali della sua federazione. Ha lottato per decenni contro il potere nemmeno tanto occulto di Julio Grondona, anche dopo la sua morte. Maradona era ieri nel palazzo del potere calcistico al centro di Buenos Aires. La sua analisi impietosa lascia poche speranze di sopravvivenza: «Hanno parlato tra club, di organizzazione dei campionati senza alcuna logica». Interpellato dai dirigenti, ha sbattuto la porta: «A queste condizioni non me ne frega niente di dare una mano, io chiedevo pulizia e trasparenza nella gestione federale, mi rispondevano di superlega a trenta squadre, impossibile da allestire perché manca tutto. Non è cambiato niente, è sempre la stessa mafia che c’era ai tempi di Grondona. Metterò Infantino al corrente di tutto, non so se la Fifa può liberare l’Argentina da questi cialtroni». Le dimissioni di Tata Martino e la possibile rinuncia alla partecipazione olimpica di Rio sono soltanto le estreme conseguenze di un decadimento che pare inarrestabile. Intristito dall’ennesima finale persa, il calcio argentino va a rotoli. Una nazionale senza ct e che si autoesclude dalle Olimpiadi, una guerra di tutti contro tutti dove il volontariato di Maradona fa quasi tenerezza. Aveva detto: fatemi tornare e salverò la storia del nostro calcio. È tornato ma è scappato via: impossibile dribblare. (tratti da il Mattino)

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