“Per costruire, spesso, occorre prima distruggere” : la rivoluzione di Conte

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È stata una rivoluzione silenziosa, escludendo alcuni interventi ad alta voce fatti da Conte. Interventi che avevano soltanto l’obiettivo di rendere il Napoli, per un calciatore, sempre più meta ambita e non tappa di passaggio. Dalle macerie causate da una stagione balorda, con tre allenatori e il decimo posto, alla gloria dello scudetto. È stato possibile grazie agli investimenti di De Laurentiis, al lavoro del tecnico e dei giocatori, alla passione popolare. E come scrive Il Mattino, grazie anche alle regole fissate da Conte.

 

 De Laurentiis sapeva che Conte non è soltanto un bravissimo allenatore: è un uomo esigente anzitutto verso se stesso. Il patron azzurro  aveva capito che Conte sarebbe stato l’uomo giusto per rilanciare il Napoli.
 Lo ha assecondato sul mercato e nella gestione di uomini e cose a Castel Volturno. Lo ha sostenuto in alcune campagne, come l’attacco alla classe arbitrale sulle regole del Var. E, siccome il calcio come il cinema è un anche un mondo di forma, lo ha fatto sempre sentire al centro del Napoli.
Conte è riuscito nell’impresa di ricostruire il Napoli dalla base, eliminando i malumori, anzi i veleni, precedenti. Nel primo giorno, sul palco del teatro di corte a Palazzo Reale, non promise trionfi ma lesse i distacchi del Napoli (quello di Garcia-Mazzarri-Calzona) rispetto alle nove squadre che lo avevano preceduto in classifica. Ed è stato quello lo stimolo più forte per gli azzurri: da -41 a +1 rispetto all’Inter in un anno, che soddisfazione.
Come è stato possibile tutto questo? Appunto attraverso le regole condivise dai giocatori e da un progetto che prevedeva un impegno durissimo sul campo.

Il metodo Conte è ben descritto nel libro “Dare tutto, chiedere tutto”, scritto dall’allenatore con Mauro Berruto, già ct della Nazionale di volley. 
Punto primo: «Per costruire, spesso, occorre prima distruggere. Sì, non c’è altro verbo che spieghi meglio il momento in cui si deve smontare, pezzo per pezzo, in certi casi letteralmente demolire, una mentalità magari consolidata nel tempo ma che potrebbe diventare il principale ostacolo verso nuovi obiettivi».


Punto secondo: «I grandi cambiamenti non passano attraverso una presa di posizione di un grande numero di persone. È perdente l’idea di voler cambiare tutto e tutti semplicemente chiedendo loro di farlo. Non funziona così. O, se funziona, sarà per un brevissimo periodo. È importante, invece, ricordare che un piccolo gruppo di persone fortemente motivate può letteralmente stravolgere le caratteristiche di un’organizzazione. Più della quantità, servono qualità, determinazione, esempio costante, senza nessuna eccezione, anche se di pochi. Saranno loro a essere contagiosi, e saranno i “resistenti”, inevitabilmente, ad adattarsi alla nuova mentalità».

 

Punto terzo, riferito a quanto attende quest’anno il Napoli: «Non c’è nulla di più rischioso, per le squadre o le organizzazioni che “vincono”, che restare uguali a se stesse. È proprio in quel momento che occorre avere il coraggio di rilanciare e di cambiare».
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