Ci sono notti in cui il calcio è un pugno nello stomaco. Notti in cui i sogni sembrano lì, a un passo, eppure sfuggono via come sabbia tra le dita. Notti come questa, al Maradona. Finisce 2-2 tra Napoli e Genoa, e il boato dello stadio si spegne in un sussurro di rimpianto. Ma non è ancora il tempo delle lacrime: è il tempo del coraggio. Perché il destino è ancora azzurro, e resta scritto tra le mani di Conte e dei suoi ragazzi.
La scenografia è quella delle grandi occasioni. Uno stadio gremito, un popolo che canta a squarciagola, sospinto dalla passione e da un sogno tricolore che manca da troppo. E dopo appena 15 minuti, sembra già festa: Lukaku, mastodontico, riceve da McTominay e trafigge Martinez. Il Maradona esplode. È il gol che accende una città intera.
Ma il calcio sa essere crudele. Il Genoa non è in vacanza. È vivo, affamato, orgoglioso. E al 32’, Ahanor – classe 2008 – si inventa una magia, la traversa trema, e sulla carambola Meret è sfortunato protagonista di un’autorete che gela l’entusiasmo.
La ripresa è un’altalena di emozioni. Raspadori, che nel primo tempo sembrava un’ombra, torna luce pura: riceve ancora da uno strepitoso McTominay e segna il 2-1 con classe e freddezza. Sembra fatta. Ancora.
Ma a sei minuti dal novantesimo, il destino decide di giocare un brutto scherzo. Vasquez, lo stesso travolto da Lukaku sul primo gol, si prende la sua rivincita: stacco imperioso, incornata perfetta. 2-2. Silenzio. Solo il suono amaro dei sogni che tremano.
Conte scuote la squadra, Billing sfiora il palo nel finale. Il cuore c’è, le gambe pure. Ma la porta resta stregata. E quando l’arbitro fischia la fine, il Napoli sa che ha perso due punti, ma non il cammino. L’Inter è a un solo punto, ma la corsa non è finita. Anzi: adesso è una questione di nervi, di orgoglio, di fede.
Il sogno è ancora lì, basta allungare la mano.
A Cura di Jo D’Ambrosio