Nappi: “Tutti si ricordano di me per il gesto della foca”
Ecco l'intervista che l'ex attaccante ha rilasciato alla Gazzetta:
Ha sfidato Maradona, mandato in gol Baggio e con un numero da circo è diventato icona senza tempo: “Tutti si ricordano di me per il gesto della foca, eppure sono passati 34 anni. Ero alla Fiorentina, sfidavamo il Werder Brema nella semifinale d’andata di Coppa Uefa. I difensori avversari pressavano, io partii in contropiede così. Tutto d’istinto, poi lanciai Roby, ma lui controllò il pallone con la mano”.
Marco Nappi è l’indimenticabile attaccante biondo che tra gli anni Ottanta e Novanta ha collezionato oltre 300 presenze in B e 100 in A. Ha vestito – tra le altre – le maglie di Genoa, Atalanta e Fiorentina. È rimasto in campo fino a 40 anni perché di smettere non ne voleva sapere, ecco la sua intervista alla Gazzetta dello Sport: “Stavo completando il corso da allenatore a Coverciano, mancava una settimana. Mi divertivo a provare sforbiciate e dribbling in campo. Scappai via, volevo continuare a giocare e firmai per il Sestri Levante”. Dopo alcune esperienze in panchina tra i dilettanti ha iniziato a girare il mondo: “Ho lavorato in un college a Pechino. In Giordania e Palestina ho fatto il volontario insieme alla nazionale dei sacerdoti. Oggi voglio salvare la Cairese in Serie D”.
L’ennesima missione di Marco Nappi.
“Mi piacciono le sfide. Siamo una squadra in crescita con tanti giovani. Molti lavorano e giocano, ma il calcio non può essere questo. Lo dico sempre ai miei ragazzi, bisogna dedicarsi al 100%”.
Lei lo ha sempre fatto?
“Sia da calciatore che da allenatore. Ho iniziato la carriera nel Cesena Primavera, era il 1982. La squadra aveva appena vinto il campionato con Arrigo Sacchi. Non hanno creduto in me, sono stato ceduto alla Vis Pesaro. Poi però ho preso la mia rivincita”.
Tutto è cominciato ad Arezzo in B.
“Non riuscimmo a evitare la retrocessione, io segnai 8 gol in 30 partite. Mi notò il Professor Scoglio che mi chiamò al Genoa. C’erano Torrente, Signorini, Eranio. Vincemmo il campionato conquistando la promozione in A”.
Anche la città di Genova è rimasta nel suo cuore.
“Proprio in questi giorni ho rivisto le foto degli articoli di giornale. Ho ricordi bellissimi, lì ho conosciuto mia moglie, a Genova sono nati i miei figli e in Liguria ho scelto di vivere. Non essere riconfermato dopo quel grande campionato, quando esultavo davanti a 40mila persone, è stata una botta tremenda. Sono passato al Brescia, ero in camera con Altobelli. Fino alla chiamata inaspettata della Fiorentina. Ero a pranzo, quasi mi strozzavo per l’emozione”.
In quella Fiorentina c’erano Pioli, Di Chiara, Iachini e Baggio.
“Sembrava di essere in Nazionale. Sono arrivato in ritiro di venerdì. A pranzo mi versarono del vino, iniziai a sorseggiare e mi accorsi che era mischiato con l’aceto. Era imbevibile, ridevano tutti”.
Lei ha conosciuto il vero Roby, quello fuori dal campo.
“L’ho visto fare gol e sbagliare, però dava sempre la sensazione che potesse inventare qualcosa. Poteva regalarci la Coppa Uefa nel ’90 in finale contro la Juventus, ma non era il solito Baggio. Poco dopo sarebbe passato ai bianconeri. Con noi era un giocherellone, ci punzecchiava in continuazione. Era capace di proporti le cose più improbabili, pure di ficcarti un chiodo in un occhio per un milione di lire. Con Di Chiara come spalla poi…”.
Di follie ne ha combinate pure lei, dopo trent’anni può ammetterlo.
“Le racconto un episodio. A Brescia, durante la cena di Natale, c’era un panettone enorme su uno dei tavoli. Fabio Gallo me lo lanciò e io colpii in sforbiciata. Ovviamente si ruppe in mille pezzi, sono stato mezz’ora a pulire”.
Ma dai, non sarà certamente stata l’unica della carriera.
“Ancora? Un giorno a Genova il campo del centro sportivo era innevato. Presi la mia Porsche e iniziai a sgommare, ero sicuro che nessuno mi avesse visto. Tornando in bus dalla trasferta a Torino, in autostrada, l’allenatore notò i solchi. Sono stato multato per un milione di lire”.
Di tutte queste pazzie, allora la più lucida è stata il gesto della foca.
“È incredibile come le persone si ricordino di me soltanto per quello. Dopo oltre 30 anni mi fermano ancora in strada per chiedermi della foca. Il soprannome me lo diede la Gialappa’s Band dopo quel famoso Fiorentina-Werder Brema. Organizzarono pure diversi sketch con Teo Teocoli. Ma c’è un episodio che nessuno ricorda”.
Ci dica.
“Mercoledì ho fatto il gesto della foca, domenica l’ho riprovato contro l’Inter. Stoppai il pallone, ero sulla fascia, si fermò sulla fronte. Stavo per partire in contropiede, Brehme me la tolse con il piede. Per pochi centimetri non mi stampò i tacchetti sulla testa. Da quel giorno non l’ho mai più rifatta. Ma sono stato l’unico giocatore a riuscirci. Avete mai visto grandi campioni come Messi, Ronaldo, Ronaldinho correre con il pallone sulla fronte? No, solo Marco Nippo Nappi”.
Ecco, l’altro suo soprannome: da foca monaca a Nippo, perché?
“Onestamente, non l’ho mai capito. Un’altra invenzione della Gialappa’s band. Probabilmente per l’assonanza con il cognome”.
Lei ha sfidato pure Maradona.
“Su Youtube c’è un video in cui ci riscaldiamo nel parcheggio prima della partita. Si vede Diego palleggiare, dietro ci sono io che faccio stretching. Non ho avuto neanche la forza di parlarci, per me era come un Dio. Si muoveva a ritmo di musica, non giocava per lavoro ma per passione. Quella che manca a tanti calciatori di oggi”.
Ha affrontato anche Zidane e segnato un gol a Van der Sar.
“Juventus-Atalanta, finì 2-1. Gol di Trezeguet e Tacchinardi per loro, rete mia. Zinedine in campo era una meraviglia. Uscì al 30’ e andò in panchina. All’intervallo gli chiesi la maglietta, stavo andando via e sentii il mio cognome. Voleva anche la mia, ero incredulo. Ho avuto la fortuna di affrontare tanti campioni. Da Van Basten a Careca passando per Matthäus, Rijkaard, Gullit, Weah, Shevchenko”.
A 40 anni ha detto basta, ma avrebbe continuato ancora…
“Stavo terminando il corso da allenatore a Coverciano. Lasciai quando mancava qualche giorno all’esame per firmare con il Sestri Levante. Volevo divertirmi e continuare a fare gol”.
Alla fine il tempo passa per tutti.
“Ho iniziato in panchina tra Savona e Montalto. Poi ho vinto lo scudetto con la Berretti del Livorno, ma a fine stagione sono stato esonerato. Avevo perso gli stimoli, volevo lasciare l’Italia. Così ho inviato il curriculum in giro per il mondo e mi hanno risposto da un college in Cina. Non ho guardato neanche il contratto, ho fatto le valigie e sono partito”.
Com’è andata?
“Allevano le giovanili del Beijing. È stata un’avventura incredibile. Non conoscevo una parola d’inglese, figuriamoci il cinese. Allora comprai un piccolo traduttore simultaneo che mi aiutava. Parlavo in italiano e l’aggeggio traduceva, quante risate ci siamo fatti. Nel college i ragazzi iniziano le lezioni alle 6.40, dalle 8 alle 9 facevamo qualche esercizio sul campo. Dalle 17 alle 19 allenamento. Poi alle 21.40 tornavano in classe. Lì la priorità è studiare, il calcio è in secondo piano”.
Ha allenato anche in Giordania e Palestina.
“Ho fatto il volontario grazie alla nazionale dei sacerdoti. Ero con tanti ex giocatori: Centofanti, Bortolazzi, Ruotolo, Carrara. È stata un’esperienza stupenda. In Giordania, ci fermavamo tra le strade di Amman e chiamavamo i bambini per giocare. Avevamo palloni, pettorine, materiale tecnico. In Palestina ci sono stato anche quest’estate, c’erano militari israeliani ovunque con i mitra spianati. Ho anche provato ad adottare un bambino, purtroppo non ci sono riuscito”.
È felice della sua vita oggi?
“Sono un allenatore con dei valori. Per me esiste soltanto il lavoro. Nell’ultima esperienza alla Nocerina io e il mio staff siamo rimasti otto mesi chiusi in albergo perché ci criticavano nonostante le vittorie. In questi anni ho subito critiche e mi sono preso pure le bottigliate dai tifosi mentre ero in panchina. Però non mollo, voglio arrivare in Serie A. È il mio sogno. Anche se al momento fatico a trovare top club che vogliano puntare su di me”.
Quale spiegazione si è dato?
“Ho un carattere forte, non mi piego davanti a niente e nessuno. Da giocatore sono stato un folle, però ero me stesso. Non sarei mai riuscito a cambiare. Quella è stata la mia forza. Ho vestito 17 maglie in 23 anni perché avevo sempre bisogno di nuovi stimoli. Ho vinto pure la Coppa Anglo-Italiana a Wembley con il Genoa. Non tutti possono dire di aver alzato al cielo un trofeo in quello stadio. E poi col gesto della foca sono diventato una leggenda”.