La Serie C come risorsa per tutti, i Settori giovanili. Il vice presidente Zola ne ha parlato alla Gazzetta

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Era il 1989, presidente della Repubblica il sassarese Francesco Cossiga. Nella Torres giocava un piccolo fenomeno. L’allora d.s. Nello Barbanera lo segnalò all’amico Luciano Moggi e il Napoli lo comprò per due miliardi di lire. Oggi Gianfranco Zola è seduto negli eleganti saloni della Lega Pro, ricorda come tutto cominciò in C1 e cerca di riproporlo gradualmente nella sua nuova veste di vice-presidente della C accanto a Matteo Marani. Che lo ascolta, ammirato. «Milan, United, Barcellona, Real hanno vinto tutto con giocatori nati in casa, affiancati da campioni che li hanno fatti crescere. Perché non può essere così anche qui?».

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Già, Zola. Forse perché i nostri club di A pensano ad altro.

«Io penso alla C. Abbiamo tante idee. Dobbiamo conoscere bene la realtà, confrontarla con quelle straniere e proporre il progetto ai club. Che poi devono agire».

Negli anni ci sono stati “progetti giovani” ovunque, ma…

«E’ un percorso lungo e difficile. Ma è una necessità imprescindibile per la C. Dobbiamo formare i calciatori e renderli competitivi. Ha funzionato all’estero, dobbiamo provarci anche noi».

Una bella responsabilità. Ma uno che a Napoli ha ereditato la maglia numero 10 di Maradona, la sa reggere bene. O no?

«Se vuoi fare qualcosa, ci sono sempre responsabilità. Bisogna creare le condizioni perché i club mettano più attenzione sul settore giovanile, cercando talenti in zona e crescerli. La prima squadra dipenderà sempre di più da questo lavoro. Con tecnici e strutture all’altezza».

Come possono investire sui settori giovanile società che hanno i ricavi ridotti all’osso?

«Dobbiamo fare uno studio. Se una società avesse l’obbligo di schierare giocatori del proprio settore giovanile, forse i costi calerebbero. Penso alla League 1 e la League 2 inglesi: le squadre devono avere in rosa almeno 8 giocatori con alle spalle 4 anni prima dei 21 nel loro settore giovanile. Ragioniamo, magari si potrebbe farlo anche qui».

La C non dovrebbe servire anche ai club di A e B per far maturare i loro talenti?

«Assolutamente sì. Ma devono trovare club organizzati e strutturati per farli crescere bene. Anche a loro conviene, visto che non produciamo più calciatori e non andiamo ai Mondiali».

Il minutaggio, in diverse società di C, è la principale fonte di ricavo: lavorate su questo?

«Soprattutto. Ma il fine è migliorare la qualità. Non bisogna distribuire soldi alle società solo perché mandano in campo dei ragazzi, tutto deve essere finalizzato alla crescita del talento».

Capita di vedere ragazzi tesserati solo per l’anno di nascita e non per le qualità. E’ giusto?

«Un fenomeno da limitare, un meccanismo da perfezionare. Al mio paese dicono: “La necessità costringe anche il vecchietto a mettersi a correre”. Dobbiamo ragionare così anche noi».

Ci sono ancora papà che pagano per far giocare i figli.

«Una cosa immorale».

Non serve un maggior coordinamento con le altre leghe?

«La C è una risorsa per tutti. Conviene ai dilettanti per lanciare i loro talenti, conviene alla B per sceglierne. E conviene alla A mandarli qui a maturare».

E’ questo il destino della C?

«La mia forma mentis è tutta su allenamenti, qualità di gioco e giocatori. Non penso ad altro».

Cosa darebbe per rivedere al Mondiale una Nazionale fatta con giocatori partiti dalla C?

«Tutto quello che volete… Non è sopportabile vedere un Mondiale senza l’Italia. All’estero sono cresciuti: Belgio, Germania e Portogallo producono giocatori di livello altissimo. E noi?».

E’ anche vero che per crescere altri Zola serve la natura…

«Io giocavo nei campetti di strada da mattina a sera, oggi i ragazzini hanno tante altre cose da fare. Il calcio deve diventare più attrattivo. E dare modelli giusti. I tempi sono cambiati, anche le strutture. Cerco di avere una casa più bella possibile per creare le condizioni di poterci vivere una vita più bella possibile. Io sono arrivato in A a 23 anni, ho imparato a soffrire quando mi scartavano ai provini e giocavo in Prima categoria a 16 anni. Sono cresciuto grazie alla C».

Vista la sua esperienza in Inghilterra, non sarebbe possibile aprire canali verso l’estero?

«E’ stata una delle cose più costruttive della mia vita. Una volta cresciuto il talento, vedremo chi ne saprà trarre i benefici. La C deve diventare come un’università, che deve fornire la miglior istruzione possibile ai suoi studenti creando le migliori professionalità per il domani».

 

Fonte: Gasport

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