Tardelli: “Play-off e Play-out? Che stiamo parlando di basket”

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Siamo un popolo di inguaribili sentimentali, che s’aggrappa ai poster della propria memoria: e Marco Tardelli è lì dall’11 luglio del 1982 che sembra trascinarci nel suo abbraccio avvolgente e carezzevole, per stritolarci con la sua felicità. Siamo poeti, santi e navigatori, però anche sognatori, che ancora si lasciano cullare da quell’urlo. Però il calcio è cambiato, ma va!, e l’Italia ha fatto suo un antico adagio di Lineker, diventando uno sport che si gioca in undici contro undici ma «alla fine vince sempre la Juventus». Tardelli è quel calcio e anche questo e semmai pure quello che verrà, è la sintesi di epoche attraversate diversamente – da calciatore, da allenatore, da opinionista, da «politico» – che è «italiano vero»: un amabile romanticone, che strappa qualsiasi idea di revisionismo.

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Se le diciamo play-off e play-out, Tardelli, lei cosa pensa?

«Che stiamo parlando di basket, forse, semmai di altro, non di calcio».

Le viene il rifiuto, insomma.

«Non c’è necessità di cambiare, a meno che non ci si voglia inventare qualcosa per tentare di fermare questo strapotere della Juventus. Ma non è colpa dei bianconeri, se da nove anni finisce sempre alla stessa maniera. E non mi sembrerebbe equo, né innovativo, provare a inventarsi una formula nuova, esclusivamente per opporsi ad un potere che viene espresso dal campo».

 

Siamo in presenza di una anomalia che non è esclusivamente italiana però che ci appartiene.

«Forse si dovrebbe intervenire altrove, per esempio nella distribuzione dei proventi dei diritti televisivi. Fare in modo che chi è ricco non lo diventi sempre di più e chi lo è di meno, abbia maggiori possibilità per poi investire. Fare come in Premier League, dove non è mai ben chiaro chi trionfi o chi retroceda. Mentre qui, più o meno, un’idea ce l’abbiamo già prima che cominci la stagione».

 

I soldi non sono tutto però aiutano a vivere meglio.

«E infatti, si proceda in quel senso, riducendo la forbice tra le grandi e le piccole, quindi consentendo anche agli altri di avere maggiori possibilità di investimento. Ma il campionato è sacro, intoccabile: esprime i suoi valori, sempre, e sono insindacabili, direi anche legittimi».

 

Ci sarebbero zone d’ombre sulle quale incidere, secondo Tardelli?

«Il regolamento e l’uso del Var meritano interventi concreti e decisi, perché esista uniformità di giudizio. Io resto perplesso, e questo è un eufemismo, dinnanzi ad una stagione con centosettanta rigori o qualcosa del genere».

 

Si è divertito, recentemente?

«Divertirsi sa di parolona. Ma me lo sono fatto piacere questo calcio, perché non esistevano alternative, non si poteva fare altro. E senza tifosi, non ci sono emozioni. Ma abbiamo dovuto sopportare una vita diversa, per tutto quello che è successo e ancora ci tormenta, e fermarsi non sarebbe stato giusto. Però, domenica sera, avrà vinto chi lo ha meritato e retrocederà chi ha commesso maggiori errori o semmai si è imbattuto in episodi sfortunati da far rabbrividire».

 

Cosa le è piaciuto?

«L’Atalanta, tantissimo. La rinascita del Milan con Pioli. E mi sembra che anche l’Inter abbia fatto bene. La Juventus è campione d’Italia, ancora, perché ha fatto più punti e nelle stesse condizioni. E stravolgere la serie A non avrebbe alcun senso: perché poi da noi sì e altrove no? Cosa vorremmo rappresentare?».

 

Non è una frase fatta, ma nella Europa delle cinque sorelle, c’è un potere costituito…

«Però ogni tanto viene fuori il Leicester: e guarda un po’ dove. E anche in Italia è successo, ma tanto tempo fa, con il Verona, con il Cagliari. Ora c’è questo dominio quasi decennale della Juventus che spinge a scovare accorgimenti, per me assolutamente fuori luogo». Fonte: CdS

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