Amarcord – di Stefano Iaconis: “Quarantaquattro minuti…”

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Stelle a centinaia. Richiamate sul San Paolo. Sullo stadio di Fuorigrotta. Dalla sua luce. Fuori dalle gradinate, in strada, un brulicare frenetico. Una babele di suoni. Di richiami. Un esercito in marcia. Una legione che va ad assieparsi. Spalla a spalla, respiro vicino al respiro. Assieme a quelle stelle. C’è il Real Madrid di Butragueno e Michel a Fuorigrotta. Che nella gara di andata, a porte chiuse, ha vinto due a zero. In una partita gettata via scelleratamente dal Napoli. Una partita che poteva terminare diversamente. Il Napoli è chiamato alla rimonta. Disperata. E’ la prima volta in Coppa dei Campioni. Il sorteggio ha decretato un primo turno proibitivo. E sebbene sia stato effettivamente tale, ci si divora le mani. Novantamila cuori. Saldi. Nell’adrenalina di una notte forse irripetibile. Affidata alla cronaca di quarantaquattro minuti che entrano filati nella storia. Senza mai più uscirne. Quando le squadre si mostrano dal sottopasso, lo stadio trema. Rigurgita di passione. Le legioni percuotono gli scudi. Le grida salgono al cielo. Le stelle fuggono via. Poi si affastellano di nuovo. Vicine vicine. Come quei cuori sugli spalti. E’ un suono lunghissimo. Tribale. Un’onda sonora che accompagna il Napoli fino al momento del calcio di avvio. E poi è come se una valanga in ferro si abbattesse sul Real Madrid. Il Napoli si avventa. Un manipolo di belve tenute alla catena, improvvisamente lasciate libere. Di scatenarsi. Guidate dal suo capobranco. Diego Maradona. Gli spagnoli sono assaliti, presi alla gola, travolti da un assalto alla baionetta che salta oltre la loro trincea improvvisata. Oltre la loro annoiata noncuranza di chi si sente già negli ottavi di finale. Loro sono il Madrid. Un calcio d’angolo. E Careca strappa via la palla a Tendillo, che vorrebbe ritardarne la battuta. Lo incenerisce con uno sguardo. Quello scappa via. Rincula. Un altro corner. Maradona batte arcuato. Buyo, il gigante tra i pali del Real che teme solo il Nou Camp nelle corride contro il nemico di sempre, il Barcellona, perde la palla. La recupera. In due tempi. Il San Paolo lo atterrisce. Un drago che sputa lenzuoli di fiamma. Ecco De Napoli, scucchiaiare una palla. In profondità. Tesa. Careca ci mette la zazzera. Gordillo la respinge. Molle. Il brasiliano la colpisce ancora, più forte, sempre di testa indirizzandola verso Francini. “Franco” la colpisce a sua volta. Ma male. Sbilenca. Buyo si distende, maldestro, la respinge sui piedi del terzino azzurro che non molla la presa. Che di destro la mette sotto la traversa. Napoli in vantaggio. Il drago soffia forte. Fuorigrotta barcolla. Come il Madrid. Michel perde una palla innocua un attimo dopo. Vicino l’out. L’ urlo di dileggio della folla sale alto. Il capitano dei bianchi, ora ancora più pallidi, solleva lo sguardo verso le tribune. Lo abbassa subito. Cerca i suoi, invitandoli. Vicino trova solo Giordano. Che corre come avesse il diavolo alle spalle. Il Real ha paura. Francini rende la cortesia a Careca. Viaggia lungo la fascia. Salta come un vortice Sanchis, poi crossa. Careca è lì, in agguato, pronto. Il suo tiro a colpo sicuro. Indirizza la sfera verso la porta madrilena. Per il due a zero. Il knock out. La fine del Madrid. La spada che affiora dalle pieghe della multa. Per inchiodare il toro bianco. Sulla sabbia dell’arena. E invece Buyo la ferma. Non si sa come. Ci si siede quasi sopra. Lo stadio ruggisce forte. Il drago si infuria. Gli azzurri sembrano in venti. No, trenta. Nella notte che la fiamma della follia accende. Una notte di passione. E leggenda. La rimonta lì, sospesa sul filo dell’attimo che incalza e si fa tempo. Il tempo della storia. Che scandisce rintocchi dentro il suono di cuori che battono all’ unisono. Quando ogni cosa pare rimandata ai secondi quarantacinque minuti, con gli azzurri che rifiatano appena un momento, De Napoli perde un pallone innocuo. E Michel si riscuote dal torpore. Filtrante per Hugo Sanchez. Si, quello che sfida la gravità quando sale in “forbice” con la sua “Higuina”. Il messicano trova un varco. Un pertugio. Con gli occhi della classe pedatoria immensa del suo bagaglio antico. Per il “Buitre”. L’avvoltoio. Emilio Butragueno. Il viso angelico che nasconde l’istinto del killer da area. Emilio il biondo ragazzo, dall’aria, innocua ed il nomignolo di un rapace. Tocco sotto su Garella che esce incontro, disperato. La palla fila in porta. Uno a uno. Al minuto 45. Ucciderebbe un drago. Il silenzio è irreale. Come su un campo di battaglia dopo la fine di uno scontro. Il Madrid fa mucchio. Nell’abbraccio, l’estasi. Dello scampato pericolo. E si leva l’applauso. Scrosciante. Quello della resa. Perché ce ne vorrebbero quattro adesso e no. Non è possibile. Anche le stelle luccicano ad intermittenza il loro grazie. Disperdendosi. Oscurando la sera. Rendendola notte. Perché poi non si gioca più. Il secondo tempo è passerella. Attesa della fine. Con il Napoli ed il suo popolo uniti nell’abbraccio indimenticabile di qualcosa che resiste ancora all’ incuria selvaggia del signore del tempo. Quei quarantaquattro minuti custoditi nel libro del calcio. Da leggere ogni volta che si vuole. Nella pagine della memoria di chi c’era.

Factory della Comunicazione

a cura di Stefano Iaconis

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